Cateteri Centrali ad Inserzione Periferica (PICC): vecchio fascino, nuove tecniche, un dibattito sempre attuale

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I Cateteri Centrali ad Inserzione Periferica (PICC) sono sistemi per l’accesso venoso centrale, inseriti attraverso una vena del braccio (cefalica, basilica, mediana o cubitale). Essi possiedono un lungo catetere che una volta inserito viene avanzato sino a posizionarsi nella vena cava superiore, alla giunzione con l’atrio destro (Figura 1). Anche se alcuni sistemi PICC erano già esistenti, la loro popolarità è aumentata nel 1975, quando Hoshal mostrò l’utilizzo dei primi sistemi con catetere in silicone, con bassa incidenza di tromboflebiti (1).

Figura 1- A PICC Catheter  Un catetere PICC
Figura 1- A PICC Catheter
Un catetere PICC

L’accesso venoso centrale è indicato quando è necessaria un’infusione endovenosa nel medio o lungo periodo, quando vi è paucità di accessi venosi periferici o quando debbano essere infuse particolari soluzioni che non sono compatibili con le piccole vene periferiche: iperosmolari (>600 mOsm/L), irritanti o estremamente acide o alcaline (pH <5 o > 9). Questo è il caso ad esempio dei farmaci chemioterapici o delle soluzioni per nutrizione parenterale.

I PICC offrono caratteristiche peculiari rispetto ai cateteri venosi centrali (CVC) standard: possono essere posizionati da un infermiere, opportunamente addestrato, come un catetere venoso periferico, eliminando quindi il rischio connesso alla puntura venosa centrale (pneumotorace, puntura arteriosa, lesioni nervose ecc.).

Per contro, i cateteri centrali ad inserzione periferica sono soggetti ad un maggior rischio di tromboflebite, rispetto ai CVC standard, a causa della lunghezza del loro catetere e del diametro relativo del corpo estraneo rispetto alla vena che lo ospita. L’incidenza di colonizzazioni batteriche è comparabile a quella dei CVC standard, con un tempo di colonizzazione più lungo rispetto ai CVC nei pazienti ospedalizzati (2-4).

Le Linee Guida 2011 per la prevenzione delle infezioni catetere-correlate, pubblicate dal CDC (5), affermano che i sistemi PICC dovrebbero essere presi in considerazione ogni volta che un paziente necessiti di un accesso venoso per più di sei giorni consecutivi, senza un’indicazione sulla massima permanenza in-situ di questi presidi. Da qui, emerge l’indicazione teorica al posizionamento di un PICC in un notevole numero di pazienti sia ospedalizzati che trattati al domicilio.

Nei trentasei anni trascorsi dal lavoro di Hoshal sino a questo ultimo set di raccomandazioni l’interesse nel confronto dei PICC si è molto accresciuto, principalmente riguardo alle tecniche di posizionamento, ai materiali, all’incidenza delle complicazioni ed al loro rapporto costo-beneficio.

Tecnica di posizionamento

Per inserire un PICC deve essere punta una vena del braccio e deve essere successivamente introdotta in essa una guida Seldinger. Questa servirà da guida per il dilatatore entro cui sarà poi inserito il catetere. Al termine della procedura, la posizione della punta del catetere va verificata per evitare un malposizionamento dello stesso (ad es. in vena giugulare).

La scelta del braccio e della vena per l’inserimento ha un ruolo nell’insorgenza di trombosi venosa profonda (TVP) (6,7). L’inserimento attraverso la vena cefalica del braccio destro ha dimostrato una minore insorgenza di trombosi venosa. Altro fattore predisponente è la necessità di punture ripetute a causa di difficoltà nel posizionamento o nel reperimento della vena, che causano danno intimale e trombosi del sito di inserzione. Nondimeno, un posizionamento agevole si ripercuote positivamente anche sul comfort dei pazienti e sui tempi della procedura. I PICC sono posizionati spesso in pazienti che hanno uno scarso patrimonio venoso periferico, e per tutti questi motivi negli ultimi anni ha riscosso molto successo l’utilizzo della guida ecografica per la puntura.

La tendenza all’utilizzo di questo ausilio è confermata dalla letteratura al riguardo, che evidenzia come l’utilizzo degli ultrasuoni riduca il numero di punture necessarie, riduca i tempi di inserzione ed in ultimo diminuisca l’incidenza di TVP nel sito di inserzione. In alcune popolazioni particolari, come i neonati, la guida ecografica può essere anche un ausilio importante nella conferma del posizionamento della punta del catetere, riducendo la necessità di radiografie (9). L’utilizzo di una sonda ecografica per la puntura venosa periferica è una tecnica con una curva d’apprendimento molto rapida, il cui insegnamento può avvenire anche all’interno di una singola sessione formativa assieme alle tecniche per il reperimento degli accessi venosi centrali, motivo questo per cui la sua diffusione è stata tanto rapida quanto efficace (10).

La conferma del posizionamento della punta è, come detto, un’ulteriore grande tematica nel posizionamento di un PICC. Teoricamente, la punta deve collocarsi nella vena cava superiore appena prima dell’ingresso in atrio destro. Un posizionamento troppo prossimale della punta, o la falsa strada in una vena diversa dalla cava superiore, può essere sconveniente per la soluzione da infondere (ad es. troppo iperosmolare, o troppo acida). Una punta in atrio, invece, può essere causa di una continua sollecitazione meccanica sulla parete atriale causata dalle contrazioni cardiache, o dallo sviluppo di trombi endoatriali.

Un posizionamento preciso della punta è importante quando si debba infondere ad esempio una soluzione per nutrizione parenterale, caso in cui idealmente la punta dovrebbe collocarsi proprio alla giunzione atrio-cavale (11). Dal momento che il riposizionamento del catetere, oltre che gravoso per il paziente, comporta dispendio di tempo e di risorse, sono state sviluppate alcune tecniche che permettono di ottenere una valutazione in tempo reale del posizionamento durante la procedura.

La più conosciuta è la fluoroscopia, che è ancora il gold-standard per la conferma della posizione, anche se la valutazione della punta non è sempre così chiara come si desidererebbe, e come è possibile verificare con le tecniche ecografiche o con l’ECG endocavitario. L’utilizzo dell’ECG endocavitario invece, è una tecnica la cui popolarità è in aumento, veloce, a basso costo e sensibile tanto quanto la fluoroscopia (12).

Richiede solo la presenza di una buona onda P di superficie per essere eseguita (non è eseguibile nel paziente con fibrillazione atriale). Un semplice dipositivo elettronico collegato al monitor del paziente permette di visualizzare la traccia ECG di superficie e di confrontarla con quella trasmessa dalla punta del catetere all’interno del vaso in cui è collocato, ottenendo delle forme d’onda specifiche dell’onda P a seconda di dove sia posizionata la punta (13) (Figura 2).

Figura 2 - Difference between superior cava and endoatrial conformation of endocavitary ECG P-waves  Differenza tra la forma dell’onda P endocavitaria in vena cava superior ed in atrio destroy
Figura 2 – Difference between superior cava and endoatrial conformation of endocavitary ECG P-waves
Differenza tra la forma dell’onda P endocavitaria in vena cava superior ed in atrio destroy

La terza tecnica a nostra disposizione, come detto, è quella ecografica. E’ una tecnica percorribile nei neonati e nei bambini, mentre è più difficoltosa nella popolazione adulta, dal momento che richiede una valutazione fine del posizionamento della punta in relazione alle camere cardiache attraverso finestre ecografiche non sempre di qualità sufficiente (9,14).

Materiale e conformazione del catetere

I PICC si dividono in due grandi categorie sia riguardo ai materiali di costruzione (poliuretano e silicone), sia riguardo al tipo di punta (punta aperta o punta chiusa). Il silicone è il materiale che ha consentito ai PICC di affermarsi nell’utilizzo clinico quotidiano, poiché le prime generazioni di poliuretano erano troppo rigide e pro-trombotiche. Nel corso degli anni però, si è osservata una grande evoluzione nelle caratteristiche meccaniche e di biocompatibilità dei poliuretani, che hanno colmato il gap con il silicone, rispetto al quale oggi sono superiori in diversi aspetti. Il silicone è un materiale più morbido del poliuretano, è meno resistente di quest’ultimo (in particolare alle infusioni ad alte pressioni), più trombizzante e più soggetto alla colonizzazione batterica per la sua superficie rugosa (15). Inoltre, i cateteri in silicone hanno un rapporto tra diametro interno ed esterno più sfavorevole se comparati con i cateteri in poliuretano, necessitando di un diametro esterno maggiore per poter ottenere lo stesso flusso di infusione se comparati con dei cateteri di poliuretano (Figura 3).

Figura 3 - Wall thickness of (A)Polyurethane, (B) Silicone and (C) Thin-walled Polyurethane PICC  (Adapted from Angle JF et al., Peripherally inserted Central Catheters, Applied Radiology, July 1998) Spessore delle pareti di PICC in (A) Poliuretano, (B) Silicone e (C) Poliuretano a parete sottile. (Tratto ed adattato da Angle JF et al., Peripherally inserted Central Catheters, Applied Radiology, July 1998)
Figura 3 – Wall thickness of (A)Polyurethane, (B) Silicone and (C) Thin-walled Polyurethane PICC
(Adapted from Angle JF et al., Peripherally inserted Central Catheters, Applied Radiology, July 1998)
Spessore delle pareti di PICC in (A) Poliuretano, (B) Silicone e (C) Poliuretano a parete sottile.
(Tratto ed adattato da Angle JF et al., Peripherally inserted Central Catheters, Applied Radiology, July 1998)

Tuttavia, i cateteri in silicone possono essere fabbricati con una morfologia a “punta chiusa”, con una valvola terminale che non consenta il reflusso di sangue nel sistema dopo l’infusione e che quindi renda superfluo l’utilizzo di eparinizzazione dei lumi al termine dell’utilizzo per prevenirne l’occlusione (16). Questo vantaggio sembra però restare solo sulla carta, poiché non si evidenzia una differenza significativa di occlusioni comparando i sistemi a punta aperta con quelli a punta chiusa negli studi clinici su grandi numeri (17).

Il diametro esterno invece è un fattore determinante nella frequenza di sviluppo di TVP, peggiorando il ritorno venoso in maniera direttamente proporzionale alle sue dimensioni, ed è inoltre un fattore associato all’aumento di incidenza di batteriemie catetere-correlate (4,5). Per tutti questi motivi, il mercato odierno si è sviluppato in favore dei cateteri in poliuretano di ultima generazione.

Problemi e complicanze

Solitamente, nel corso del loro utilizzo i PICC sono soggetti a quattro tipi di complicanze: (a) infezione e sepsi catetere-correlata; (b) trombosi; (c) occlusione; (d) dislocazione e rimozione accidentale.

L’incidenza della sepsi catetere-correlata è bassa, paragonabile a quella dei cateteri con Port impiantabile, e più bassa dei CVC standard o tunnellizzati (18-20). Nei pazienti ospedalizzati l’infusione a lungo termine ha evidenziato una frequenza di infezione superiore a quella dei pazienti gestiti al domicilio (21). Le Linee Guida del CDC 2011 (http://www.cdc.gov/hicpac/bsi/bsi-guidelines-2011.html) coprono ogni aspetto circa la prevenzione delle infezioni catetere-correlate (22). Il controllo e la prevenzione delle infezioni è materia molto complessa, fatta di formazione del personale coinvolto, addestramento continuo e valutazione dell’apprendimento, creazione di linee-guida e protocolli per la condivisione dei percorsi e degli standard di cura basati sull’evidenza scientifica in letteratura.

Come affermato in precedenza, la prevenzione delle occlusioni e della trombosi richiede un intervento ragionato sin dalla scelta del catetere e del suo posizionamento. Come regola, eccetto il materiale e la tecnica di impianto, l’occlusione si verifica per la formazione di un trombo sulla punta del catetere, per la precipitazione di soluzioni incompatibili all’interno del lume, oppure per rottura o dislocazione del catetere.

La trombosi venosa del braccio è una complicanza frequente, con un’incidenza di trombosi asintomatiche nelle casistiche di pazienti con tumore che varia dal 37% al 66% (23-25). In un recente studio Ahn et al. hanno evidenziato tre  fattori di rischio principale per lo sviluppo di trombosi venosa asintomatica nei pazienti oncologici con PICC: l’utilizzo di farmaci stimolanti l’eritropoiesi, l’ospedalizzazione e l’utilizzo di anticoagulanti a regime terapeutico (26). Lo stesso studio ha evidenziato anche un effetto protettivo dei  farmaci anti-piastrinici. Probabilmente, la terapia anticoagulante non agisce singolarmente come fattore protettivo a causa del fatto che i pazienti che la ricevono, per lo stato pro-trombotico che li caratterizza e per cui assumono la terapia, non è completamente riequilibrato e lasci dunque un bilancio coagulativo favorevole alla formazione di trombi.

Conclusioni

I PICC sono sistemi in continuo sviluppo, circondati da un fervente mix di innovazione tecnica e dei materiali, ricerca clinica ed elaborazione di linee-guida.

Giocano un ruolo importante nel mondo degli accessi venosi centrali, e richiedono una formazione ed un training continuo del personale infermieristico coinvolto nel loro posizionamento e nella loro gestione.

Attorno ad essi, dovrebbe costituirsi un team di alto livello qualitativo dedito alla gestione a tutto tondo dei sistemi per l’accesso vascolare a permanenza, basato su un continuo scambio di informazioni in équipe, sul monitoraggio dei cateteri impiantati e la sulla registrazione degli outcome e delle complicanze.

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