L’Herpes Zoster e la nevralgia post-erpetica: tra mito, realtà ed algologia

INTRODUZIONE

C’è un legame atavico che unisce Sant’Antonio Abate al fuoco, espresso a vari livelli, da quello diretto a quello simbolico, quest’ultimo traslato sul piano immaginario con tutta una serie di implicazioni, in particolare nel folklore e nella religiosità. Il 17 gennaio, in numerose località italiane, si accendono falò in onore del Santo: la fiamma è il simbolo della sua vittoria sul peccato. Infatti, nella credenza popolare, l’Herpes Zoster (HZ), comunemente chiamato “fuoco di Sant’Antonio”, indica una patologia provocata dal Santo per punire i peccatori, guaribile solo con la sua intercessione (1). Le feste del 17 gennaio non sono solo incentrate su ritualità evocanti una tradizione pagana, in cui entra in gioco il fuoco: si effettua anche la benedizione degli animali domestici, poiché si narra che il Santo avesse un ottimo rapporto con gli animali. Sant’Antonio Abate, in effetti, è raffigurato insieme ad un maiale nella sua icona: va ricordato che il grasso del maiale era utilizzato, un tempo, come medicamento per lenire il bruciore provocato dall’Herpes Zoster. Il legame con questo fondamentale animale dell’economia contadina, trova la sua apoteosi ad Ateleta (L’Aquila), dove un piccolo maialino, tutto infiocchettato, ha il permesso, il 17 gennaio, di circolare liberamente per la città fino a sera, poiché successivamente lascia la scena per dare inizio all’apertura ufficiale del Carnevale (2).

L’Herpes Zoster è un’infezione virale acuta dei gangli sensitivi e dei corrispondenti territori cutanei di innervazione. L’infezione è sostenuta dal DNA Virus della Varicella Zoster (VZV), appartenente alla famiglia degli Herpes Virus Human Alpha. È così denominato poiché è responsabile di due patologie: la varicella e l’HZ.

La caratteristica più importante degli Herpes virus è la capacità di persistere, dopo l’episodio primario, per tutta la vita dell’ospite, nei gangli delle radici dorsali del midollo spinale e/o dei nervi cranici, corrispondenti ai territori cutanei sede delle vescicole, utilizzando il flusso assoplasmatico delle fibre nervose sensitive. Il virus permane latente negli anni successivi, ma può riattivarsi replicandosi intensamente nelle cellule gangliari, provocando così le manifestazioni dell’HZ (3). Tale patologia è presente in tutte le aeree geografiche del mondo, non ha un andamento stagionale, nella maggior parte dei casi insorge in pazienti che hanno superato i 45 anni  di età e nella fascia degli over 85 l’incidenza supera i 10 casi ogni 1000 persone per anno.

Il fattore scatenante della riattivazione virale è rappresentato dagli stati di deficit della difesa immunitaria cellulo-mediata, imputabili a diverse cause: congenite, infettive (soprattutto HIV correlate), neoplastiche, dipendenza da alcool o droghe, terapia radiante ed età avanzata (4). L’osservazione istopatologica dei gangli nervosi, durante la riattivazione del VZV, mostra flogosi, necrosi e perdita della normale morfologia dei neuroni, che possono estendersi fino al corno anteriore del midollo spinale, determinando mielite e deficit motori (5). Il dolore associato all’episodio acuto di HZ o alla nevralgia post-erpetica (NPH) è di tipo neuropatico: è la conseguenza di un insulto diretto ai nervi periferici da parte del virus. Infatti, dopo aver subito un danno assonico, i neuroni abbassano la soglia di attivazione rispondendo esageratamente anche a stimoli lievi. La morte per necrosi delle cellule neuronali durante la fase di riattivazione, può provocare uno stato di ipersensibilità centrale con alterazione della processazione dei segnali da parte del sistema nervoso centrale (6). Nei pazienti affetti da NPH è possibile dimostrare la presenza di proteine virali nelle cellule ematiche mononucleate: queste ultime potrebbero avere un ruolo nel mantenimento dello stato di flogosi cronica gangliolare che contribuisce alla patogenesi della NPH (7). La riattivazione del VZV dallo stato di latenza, provoca un’eruzione cutanea localizzata sul territorio di distribuzione di uno o più nervi sensitivi. L’eruzione cutanea è preceduta da sintomi neurologici dolorosi e da ipersensibilità: parestesie metameriche variabilmente riferite come prurito, bruciore, dolore urente, puntorio, lancinante. Caratteristica dell’HZ è la comparsa dell’anestesia dolorosa: algie spontanee associate ad ipoestesia del territorio interessato. Possono associarsi alterazioni dell’innervazione simpatica che provocano modificazioni vasomotorie, sudore e scomparsa del riflesso pilomotore (8). Questa fase caratterizzata da una sintomatologia cutanea silente, può perdurare in modalità costante od intermittente per settimane e può essere associata a lievi sintomi e segni prodromici sistemici: malessere, cefalea, astenia, lieve rialzo termico e adenopatie locoregionali dolenti. Successivamente si manifesta l’eruzione cutanea caratteristica: l’esantema eritemato-vescicolare, che evolve in pustole e quindi in croste, si interrompe dopo circa 10 giorni e la guarigione sopraggiunge con una progressiva risoluzione di tali manifestazioni in 4-6 settimane circa (9).

La complicanza più comune e debilitante di questa patologia è la NPH, ovvero  la persistenza di dolore oltre il mese dalla scomparsa dell’eruzione cutanea. Si verifica nel 20% dei soggetti con HZ ma la sua incidenza è molto elevata nei soggetti di età superiore ai 60 anni. Si tratta di una sintomatologia dolorosa che può persistere per anni, talora intensa, urente, associata ad iperalgesia dei dermatomeri affetti. La causa è incerta: si ipotizza che essa dipenda da un deficit di controllo della sensibilità dolorifica a livello delle corna posteriori midollari, causato dalla lesione virale delle fibre sensitive di grosso calibro (deficit del gate control) (10).

TRATTAMENTO DELLA NPH

Poiché  nella patogenesi della NPH, il ruolo chiave è sostenuto dal danno del tessuto nervoso ad opera del VZV, l’algologo deve attuare, come prima linea di trattamento, quella antivirale. Dati recenti hanno dimostrato che la terapia antivirale accelera la guarigione nella fase acuta della malattia e riduce, pertanto, il rischio di insorgenza e la durata della nevralgia post-erpetica, a patto che si inizi entro 72 ore dall’insorgenza dei sintomi (11). L’uso dei corticosteroidi orali nel trattamento di pazienti con infezione da HZ è controverso: alcuni Autori sono favorevoli all’impiego dei corticosteroidi per ridurre il dolore di tipo infiammatorio causato dal VZV; altri Autori si oppongono al loro uso sostenendo che, quando sono impiegati come adiuvanti agli agenti antivirali, forniscono un beneficio aggiuntivo limitato. Inoltre, i corticosteroidi orali hanno dimostrato di ridurre il dolore acuto, ma non il dolore cronico associato alla nevralgia post-erpetica. Infine, questi farmaci causano dispepsia, esacerbano il diabete mellito, l’ipertensione arteriosa e l’osteoporosi. Questi effetti sono particolarmente indesiderabili tra i pazienti più anziani, ovvero la maggior parte degli individui affetti da HZ e da NPH (12).

Un elemento fondamentale nel trattamento di pazienti con infezione da HZ è la prevenzione del dolore cronico associato. Le strategie di trattamento per il dolore cronico devono essere incentrate sulle condizioni cliniche di ogni paziente, in quanto i sintomi della nevralgia post-erpetica possono essere diversi per ogni paziente. Gli obiettivi del trattamento comprendono il sollievo dal dolore associato alla nevralgia post-erpetica ed il miglioramento della qualità di vita, consentendo ai pazienti di mantenere il sonno, l’attività fisica e la nutrizione. Gli antidepressivi triciclici (TCA), gli  anticonvulsivanti, gli analgesici oppioidi e gli agenti topici sono raccomandati come terapia di prima linea per la PHN (13).

Antidepressivi triciclici

Gli antidepressivi triciclici sono stati i primi farmaci utilizzati per la gestione della PHN e sono stati considerati come la terapia di prima linea per molti anni. Gli antidepressivi triciclici bloccano la ricaptazione di noradrenalina e serotonina, alleviando il dolore ed aumentando l’inibizione dei neuroni spinali coinvolti nella percezione del dolore.  Studi su animali hanno dimostrato che, anche i TCA, possono funzionare come antagonisti dei canali del sodio all’interno del sistema nervoso periferico, un altro meccanismo capace di alleviare il dolore. Gli eventi avversi associati a TCA, che sono principalmente di tipo anticolinergico, includono: sedazione, confusione, ritenzione urinaria, secchezza delle fauci, visione offuscata, ipotensione posturale e aritmia. Questi eventi avversi limitano l’utilizzo dei TCA per il trattamento della PHN nei pazienti anziani (14).

Anticonvulsivanti

Due anticonvulsivanti sono indicati per il trattamento della nevralgia post-erpetica: Gabapentin e Pregabalin. Il loro impiego può iniziare già nella fase acuta della malattia, perché la patogenesi della PHN inizia durante questa fase e gran parte del danno neuronale si verifica prima che il dolore si manifesti (15). Il loro meccanismo di azione include la modulazione dei canali ionici del sodio,   l’alterazione della produttività, del rilascio, della ricaptazione e/o della distruzione  neurotrasmettitoriale. L’effetto sull’attività neuronale risulta essere ancora incerto e include la soppressione della scarica parossistica, la riduzione dell’iperattività dei neuroni e l’eliminazione di residui aberranti. I farmaci antiepilettici agiscono sia sul sistema nervoso centrale che su quello periferico. I farmaci antiepilettici di prima generazione sono la carbamazepina, la fenitoina e l’acido valproico. La seconda generazione di farmaci antiepilettici include il gabapentin, il pregabalin, la lamotrigina, il levetiracetam, l’oxcarbamazepina (un metaboliTa della carbamazepina), la tiagabina, il topiramato e la zonisamide. In generale, gli antiepilettici di seconda generazione  hanno il vantaggio di provocare minori effetti indesiderati. Gli effetti collaterali gravi causati dall’impiego di farmaci antiepilettici includono tossicità epatica (carbamazepina e valproato), la sindrome di Stevens-Johnson (lamotrigina, fenitoina e zonisamide), l’anemia aplastica (carbamazepina) e la teratogenesi (carbamazepina, valproato). Gli effetti collaterali lievi e maggiormente frequenti sono invece: lipotimia, atassia, sonnolenza, disturbi cognitivi, nausea/vomito e aumento ponderale. Il topiramato, il levetiracetam e il gabapentin non sembrano causare tossicità epatica. La tossicità epatica e l’anemia possono essere particolarmente problematiche nel trattamento del dolore nei malati di cancro (16).

Analgesici oppioidi

In molti pazienti con PHN non si verifica una riduzione clinicamente significativa dei sintomi con l’impiego dei TCA o degli anticonvulsivanti. Gli oppioidi costituiscono un’opzione importante per questa popolazione di pazienti (17). Gli oppioidi possono anche essere somministrati durante la fase acuta della malattia, quando il dolore è di intensità grave ( NRS>7). La morfina è risultata efficace, confrontata con il placebo, nel ridurre il dolore e l’iperalgesia da PHN in uno studio randomizzato, controllato, in doppio cieco (18). Poiché i pazienti presentano tolleranza variabile agli oppioidi, il dosaggio deve essere titolato progressivamente per ogni paziente. Gli eventi avversi osservati con oppioidi includono costipazione, nausea, perdita di appetito, vertigini e sonnolenza.  Un limite, più teorico che reale, per l’utilizzo di oppioidi è il potenziale effetto di dipendenza (19).

Il trattamento topico

Nei pazienti con nevralgia posterpetica localizzata, la terapia topica rappresenta una possibile alternativa. Il trattamento topico è anche una buona opzione terapeutica per i pazienti in cui è controindicata la terapia per via sistemica. I farmaci topici  attualmente disponibili possono essere suddivisi in tre gruppi: anti-infiammatori non steroidei (FANS), anestetici locali e la crema di capsaicina (20).

Farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS)

I farmaci anti-infiammatori non steroidei, applicati topicamente, sono utili nel trattamento di pazienti con HZ in fase attiva e nella fase precoce posterpetica, perché la sintomatologia dolorosa è associata a trauma tessutale, infiammazione e ad un aumentato livello di prostaglandine tessutali. I FANS inibiscono la cicloossigenasi, diminuendo così la sintesi delle prostaglandine.

Vi è stata una recente attenzione allo sviluppo dei FANS ad uso topico, come l’aspirina in polvere, le creme di indometacina, diclofenac e di benzidamina cloridrato per trattare pazienti affetti da PHN. L’aspirina topica ha dimostrato di essere superiore al placebo nel ridurre la nevralgia posterpetica, mentre altri FANS, sempre ad uso topico, come l’indometacina, diclofenac e benzidamina non sono risultati altrettanto efficaci (21).

Anestetici locali

Un patch di lidocaina topica al 5% è un rimedio farmacologico indicato per il trattamento di pazienti affetti da  PHN. In uno studio recente sono stati applicati, per un massimo di 24 ore, 4 patchs con minimo assorbimento sistemico di lidocaina, scongiurando così il timore di eventuali effetti avversi sistemici. Grazie a questa provata efficacia e  all’ottimo profilo di sicurezza, il cerotto di lidocaina al 5% è stato raccomandato come terapia di prima linea per il trattamento del dolore neuropatico associato a nevralgia posterpetica (22).

Capsaicina

La capsaicina è una sostanza di origine naturale, che agisce come agonista selettivo dei recettori TRPV1 (transient receptor potential vanilloid 1), che sono distribuiti lungo tutti i neuroni sensitivi primari e nei gangli trigeminali e nodosi. I canali che contengono i recettori  TRPV1  sono quelli maggiormente coinvolti nella trasduzione del dolore e vengono espressi nelle terminazioni dei termocettori del caldo e del freddo e nelle fibre C e A-delta dei nocicettori.  Il recettore TRPV1 può essere attivato da stimoli, quali il calore (oltre 43°) e il pH  (<6), oltre che da agonisti vanilloidi, così definiti per la presenza nella loro struttura di un nucleo vanillinico, come la capsaicina. La sua attivazione causa un massivo ingresso di ioni calcio e sodio, con conseguente depolarizzazione e innesco di un potenziale d’azione che si propaga lungo le fibre sensoriali afferenti. L’effetto iniziale della capsaicina è l’attivazione dei nocicettori cutanei che esprimono il TRPV1, causando sensazione di puntura e bruciore dovuti al rilascio di neuropeptidi vasoattivi. Pertanto, il meccanismo analgesico della capsaicina si esplica dopo l’esposizione ripetuta al farmaco, che rende i nocicettori cutanei meno sensibili agli stimoli. Gli effetti collaterali più comunemente riscontrati sono rappresentati dalle reazioni a livello del sito di applicazione, quali eritema, bruciore, secchezza, dolore, gonfiore e prurito. In generale si  tratta di effetti ben tollerati, di lieve e modesta entità e con una remissione spontanea entro 7 giorni dal trattamento (23).

Conclusioni

La nevralgia posterpetica è di difficile trattamento, perché la maggior parte del danno neuronale che causa il dolore cronico si verifica durante la fase acuta dell’infezione. Per tale motivo il trattamento deve  essere quanto più precoce possibile, e questo rappresenta il mezzo più efficace per prevenire la PHN.

L’HZ è una malattia dolorosa che può condurre a complicanze tormentose, estremamente debilitanti e croniche. Il rischio di sviluppare  HZ è sottostimato e cresce con l’aumentare dell’età: l’incremento della malattia è pari a quello dell’età della popolazione. Il vaccino è l’arma più efficace nella prevenzione di questa malattia, soprattutto per eliminare l’insorgenza della sua complicanza più frequente, rappresentata dalla nevralgia post erpetica, di non facile trattamento.

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