Il dolore ostetrico (I parte)

INTRODUZIONE

Il dolore da parto è una delle manifestazioni più frequenti e standardizzate di dolore acuto, sebbene si tratti di dolore, questo accompagna uno degli eventi più importanti della vita di una donna che diventa madre. Al fine di raggiungere il maggior beneficio e comfort per la futura madre, questo evento deve avere una valenza positiva, minimizzando, perciò, il corteo sintomatologico che lo accompagna. La figura dell’anestesista è fondamentale nella gestione del dolore in tutti gli atti medico-chirurgici: ciò deve essere vero anche per il momento del parto, ma questo fine si può ottenere soltanto con una coesa collaborazione tra tutte le figure mediche e paramediche che si interrelazionano con la futura mamma: ginecologi-ostetrici, neonatologi e/o pediatri, ostetriche ed infermieri (1, 2). La promozione della partoanalgesia deve avvenire in un contesto di sicurezza per la tutela della madre e del bambino: da ciò la necessità di avviare idonei percorsi di formazione e di gestione del rischio nella prospettiva di una maggiore umanizzazione dell’evento nascita (3). È universalmente e scientificamente provato che la migliore gestione del travaglio di parto sia la parto analgesia, poiché, se ben condotta, la sensibilità tattile e motoria è conservata e la paziente partecipa attivamente alla nascita del proprio figlio senza avvertire dolore. Negli Stati Uniti 4 milioni di parti vengono gestiti ogni anno con l’analgesia epidurale (4). In Francia, Germania, Spagna e Gran Bretagna, vi è una bassa percentuale di tagli cesarei e il 70% dei parti naturali avviene in analgesia epidurale (5). In Italia, nonostante i progressi degli ultimi anni e l’acquisizione di una nuova coscienza a tal riguardo, siamo ben lungi dal raggiungere tali risultati e l’analgesia nel travaglio di parto rappresenta una tecnica utilizzata ancora marginalmente all’interno dei nostri ospedali (3,6), essendo eseguita solo nel 15% circa dei parti spontanei. Soltanto nel 2010 la partoanalgesia è stata inserita nei LEA, come si evince dall’art. 37 punto 3 del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri “Nuovi Livelli essenziali di assistenza”: “Il Servizio sanitario nazionale garantisce le procedure analgesiche nel corso del travaglio e del parto vaginale nelle strutture individuate dalle regioni e all’interno di appositi programmi volti a diffondere l’utilizzo delle procedure stesse. Le regioni adottano adeguate misure per disincentivare il ricorso al parto cesareo in un numero di casi superiore a un valore percentuale/soglia sul totale dei parti, fissato dalle stesse regioni”(5,7). Da ciò la speranza e l’incentivo per l’adozione di tecniche alternative al cesareo per una migliore e completa gestione delle partorienti, sia psicologica che fisica (8,9).

FISIOLOGIA DEL PARTO

L’espulsione del feto e dei suoi annessi dal corpo della madre costituisce il parto.
Il feto, spinto dalle contrazioni uterine e dei muscoli del torchio addominale, percorre un canale costituito da:
1. segmento uterino inferiore;
2. collo dell’utero;
3. vagina contornata dai muscoli perineali;
4. vulva o canale molle, parzialmente contornata dalla cintura ossea del piccolo bacino.
Le caratteristiche anatomiche del canale, del feto e la forza esercitata rappresentano le variabili del parto.
I fenomeni dinamici materni sono le modificazioni del canale del parto per effetto delle contrazioni uterine e del passaggio del feto e comprendono:
1. espansione del segmento uterino inferiore;
2. appianamento del collo uterino e dilatazione dell’orificio uterino esterno o bocca dell’utero;
3. formazione della borsa delle acque o amnio-coriale e rottura delle membrane amnio-coriali;
4. distensione di vagina, perineo e anello vulvare.
Il parto consiste di quattro periodi successivi:
1. prodromico: contrazioni ritmiche e coordinate, durata in media circa 8 ore nella nullipara e circa 5 ore nella pluripara;
2. dilatante: fase attiva della dilatazione cervicale, durata in media nelle nullipare è di 4-5 ore e nelle pluripare circa 2 ore;
3. espulsivo: inizia la dilatazione completa, caratterizzato dallo svolgimento dei principali fenomeni meccanici del parto; le contrazioni uterine sono molto ravvicinate, intense e prolungate; a supportarle si associano anche le spinte volontarie da parte dei muscoli del torchio addominale; le sensazioni dolorose derivano non solo dalle contrazioni uterine ma anche dalla sollecitazione meccanica delle parti molli del pavimento pelvico, della vagina, del perineo e della vulva; la prima componente del dolore è trasmessa dalle fibre amieliniche C (dolore viscerale), la seconda è condotta centralmente dalle fibre mieliniche Aδ (dolore somatico); la durata nelle nullipare è di circa 1 ora e nelle pluripare è di 20-30 min.
4. secondamento: espulsione o estrazione degli annessi fetali dall’organismo materno, dopo l’espulsione o l’estrazione del feto.
In queste fasi il dolore origina dalla stimolazione di nocicettori delle strutture uterine e perineali e dalla pressione esercitata sugli organi adiacenti. Il dolore da contrazione uterina è trasmesso da nocicettori a soglia elevata sebbene si riduca successivamente. Da ciò l’elevata intensità del dolore nel travaglio prolungato.
Il dolore nel travaglio è viscerale-somatico:

  • dolore acuto viscerale (DV) dell’utero e della cervice;
  • dolore acuto somatico (DS) superficiale (DSS) e profondo (DSP) delle strutture pelviche, della vagina e del perineo;
  • dolore riferito cutaneo (DR) ai muscoli della parete posteriore e quelli lombari.

Durante il primo stadio del travaglio, il DV è poco localizzato, sordo o crampiforme; nelle fasi più tardive del primo e del secondo stadio, il DS è acuto e localizzato.
La differenziazione del dolore è fondamentale per la conduzione farmacologica dell’analgesia, in quanto il DV è più sensibile agli oppiacei, mentre il DS agli anestetici locali.

ANALGESIA SISTEMICA

Nonostante l’analgo-anestesia perimidollare sia la tecnica più efficace e con minori interferenze sul travaglio, l’uso di farmaci sistemici ha diversi razionali per l’utilizzo:
1. varie vie di somministrazione;
2. monitoraggio minimo;
3. assenza di équipe organizzata per analogo-anestesia centro-neuroassiale;
4. controindicazioni alla tecnica dell’analgesia regionale;
5. rifiuto della donna all’analgesia perimidollare.
L’analgesia per inalazione, la prima ad essere stata applicata routinariamente nell’analgesia ostetrica, da sola o in combinazione con altre tecniche antalgiche, prevede la somministrazione di anestetici, gassosi o volatili, a dosi sub-anestetiche durante la prima e la seconda fase del travaglio al fine di garantire un certo grado di analgesia mantenendo lo stato di vigilanza materno per:
1. garantire la collaborazione;
2. mantenere attivi i riflessi laringei protettivi.
Il grado di analgesia ottenuto è soddisfacente sebbene non paragonabile all’anestesia regionale. Rimane una valida alternativa quando:
1. il travaglio è avviato;
2. è richiesto un rilasciamento uterino immediato come nel caso di parto gemellare, incompleta dilatazione uterina, feto con presentazione podalica;
3. nelle pazienti che rifiutano o non possono essere trattate con analgesia perimidollare.
L’efficacia analgesica è strettamente legata alla sua corretta applicazione poiché il dolore della contrazione uterina è percepito 20-30 sec dopo l’inizio della contrazione stessa, per cui è essenziale che la paziente inizi a inalare l’anestetico al principio della contrazione (10), nel caso del sevofluorane, studi specifici hanno validato a 0,8% l’idonea quantità per l’equilibrio tra i benefici dell’analgesia con la minore incidenza di effetti collaterali (11,12). Nonostante l’elevata sicurezza e la scarsissima incidenza di complicanze, non risulta una tecnica antalgica prioritaria in travaglio di parto a causa della facilità con cui gli anestetici volatili attraversano la placenta e possono causare depressione fetale e neonatale. L’analgesia per via parenterale prevede l’uso di farmaci come benzodiazepine, oppiacei, ketamina che attraversano rapidamente la barriera placentare, provocando potenzialmente depressione neonatale, la cui intensità e durata dipendono da dose, via di somministrazione ed intervallo di tempo che separa la loro somministrazione dalla nascita.
Le benzodiazepine agiscono sulla componente emotiva e affettiva del dolore, elevandone la soglia grazie alle loro proprietà ansiolitiche e sedative. A piccole dosi hanno minimi effetti sul feto e sul neonato (13).
Gli oppiacei sono i farmaci analgesici più efficaci: morfina, fentanil e remifentanil sono quelli più utilizzati nel travaglio di parto (13-20). Fra gli effetti collaterali potenziali vi sono l’ipotensione arteriosa ortostatica, euforia, sedazione, nausea, vomito, prurito, sebbene la depressione respiratoria rimanga il più significativo e temibile. Tali farmaci riducono l’eccitabilità uterina riportandola a condizioni di normalità, riducendo la durata del travaglio e del parto, sebbene una precoce somministrazione possa provocare un eccessivo rilassamento uterino. Una dose ottimale, somministrata a 4-5 cm di dilatazione, non produce tali effetti e può favorire la progressione del travaglio riducendo il dolore e lo stress.
Tutti gli oppiacei attraversano la barriera placentare e sono in grado di determinare una depressione respiratoria nel neonato:
1. per via sottocutanea o intramuscolare può comparire dalle 2 alle 4 ore dalla somministrazione;
2. per via endovenosa l’oppiaceo raggiunge il feto più velocemente, quindi, se il parto avviene in tempi ravvicinati rispetto al raggiungimento del picco plasmatico, gli effetti si potranno riscontrare anche sul neonato.
Il grado di depressione respiratoria è condizionato dall’età della partoriente e dalle condizioni neonatali.
La ketamina è un agente anestetico che determina analgesia, amnesia e anestesia dissociativa che induce, con un rapido onset, un buon piano anestetico senza depressione cardiovascolare o respiratoria. A dosi sub-anestetiche determina un’intensa analgesia, ma il suo uso è limitato da importanti effetti collaterali, quali ipereccitabilità cardiovascolare ed alta incidenza di alterazioni neuro-psichiche (21). A dosi sub-anestetiche, non interferisce in maniera significativa con il travaglio; a dosi più alte si rileva, invece, un incremento del tono uterino, bassi punteggi di Apgar e depressione neonatale accompagnata da un’elevata incidenza di laringospasmo materno (22).

BLOCCHI REGIONALI

Il blocco anestetico paracervicale (Fig. 1), eseguito iniettando una certa quantità di anestetico locale a lato del segmento uterino inferiore attraverso i fornici vaginali laterali, ha effetto antalgico nel primo stadio del travaglio e può essere associato al blocco del nervo pudendo, per l’applicazione del vacuum extractor o ventosa ostetrica. L’analgesia non è mai completa. Anestetici utilizzabili sono la bupivacaina o la levobupivacaina; anche a basse concentrazioni tali farmaci forniscono, nella maggior parte dei casi, una discreta analgesia della durata di 2-3 ore e non sembrano presentare effetti collaterali sul feto. Non si esclude che si possa verificare un passaggio transplacentare di alte dosi di anestetico locale o che si verifichino spasmi arteriosi zonali con disturbi temporanei dell’irrorazione utero-placentare; inoltre, sono abbastanza frequenti episodi di bradicardia fetale (23).

Il blocco anestetico tronculare dei nervi pudendi, all’inizio del periodo espulsivo, elimina il dolore a partenza genito-perineale (Fig. 2), si effettua con qualunque anestetico locale. La levobupivacaina, ancor più della ropivacaina, ha lunga durata d’azione, pertanto copre il periodo espulsivo ed è efficace per l’eventuale sutura di una colpo-perineotomia. Tale tecnica non ha controindicazioni e può essere eseguita sistematicamente su tutte le partorienti, tranne nei casi di farmacoallergia.

TECNICHE INTRATECALI

Le tecniche di analgo-anestesia intratecali vengono distinte sulla base della localizzazione del farmaco:
1. blocco subaracnoideo: spazio sub aracnoideo in singola somministrazione;
2. blocco peridurale continuo: spazio epi/peridurale, delimitato dalla dura madre in profondità e dalla superficie anteriore del legamento giallo più superficialmente (Figg. 3-4), previo posizionamento di un sottile catetere;
3. blocco combinato subaracnoideo-epidurale (CSE): è la combinazione delle due tecniche precedenti; l’induzione dell’analgesia si ottiene con la somministrazione di farmaci nello spazio subaracnoideo e il successivo mantenimento con l’iniezione degli stessi nello spazio peridurale, previo posizionamento del catetere.

Attraverso la somministrazione di analgesici e anestetici locali nello spazio epidurale e/o subaracnoideo è possibile un reale controllo del dolore sin dalle prime fasi del travaglio.
Un’efficace analgesia per il travaglio deve garantire l’abolizione del dolore e al contempo:
1. non alterare le funzioni motorie materne;
2. non produrre effetti indesiderati nel feto;
3. non modificare il decorso del travaglio;
4. efficacia per tutta la durata del travaglio e nel momento del parto;
5. possibilità di conversione in anestesia nel caso di improvvisa necessità di taglio cesareo.
L’analgesia perimidollare viene effettuata con anestetici locali, oppiacei e adiuvanti.
In assenza di controindicazioni cliniche, la richiesta della partoriente rappresenta indicazione medica sufficiente all’esecuzione di tale tecnica (24-26). Si esegue per effettuare un taglio cesareo o parto vaginale strumentale, in previsione di difficoltà della gestione della anestesia generale per obesità, anamnesi positiva per difficoltà all’intubazione, ipertermia maligna o altre cause (27). Permane qualche dubbio sull’esecuzione di un’analgesia perimidollare in presenza di selezionate patologie materne cardiache, polmonari e della gravidanza, come la preeclampsia (25, 26, 28).
Le controindicazioni all’esecuzione di un blocco perimidollare possono essere:
a. assolute:

  • rifiuto della paziente;
  • infezione in prossimità o nel punto di inserzione dell’ago;
  • stato febbrile refrattario a terapia medica o sepsi materna;
  • ipovolemia marcata;
  • coagulopatie acquisite o congenite;
  • assunzione di farmaci anticoagulanti e/o antiaggreganti.

b. relative: ipertensione endocranica e preesistente disturbo neurologico midollare o a carico dei nervi periferici; in questi casi la decisione va ponderata caso per caso.
La presenza di un tracciato cardiotocografico non rassicurante non è, di per sé, una controindicazione all’analgesia peridurale (29, 30).

BLOCCO SUBARACNOIDEO

Questa tecnica non è abitualmente utilizzata per l’analgesia in travaglio di parto, perché non permette il controllo dell’effetto analgesico nel tempo. L’uso di cateteri subaracnoidei, proposto alcuni anni fa, risulta ormai obsoleto. L’analgesia in singola somministrazione può essere indicata in casi selezionati, come ad esempio nel travaglio avanzato o nei parti operativi, in cui sia richiesto:
1. un rapido onset,
2. un’unica somministrazione,
3. maggiore intensità dell’analgesia.
Lo spazio subaracnoideo può essere raggiunto inserendo un ago nel punto di mezzo tra i processi spinosi, da L2 a L5; nel caso di un’abnorme lordosi o di una calcificazione dei legamenti, l’alternativa può essere rappresentata dall’approccio paramediano. Il blocco subaracnoideo può essere effettuato con la paziente in posizione seduta o in decubito laterale. La posizione laterale è preferibile per il minor rischio di ipotensione posturale, di procidenza delle parti presentate durante il travaglio e in presenza di rottura del sacco amniotico. La posizione seduta è indicata in presenza o in previsione di difficoltà tecniche, quale la difficile identificazione dei punti di repere – pazienti obese o con pregressi traumi al bacino – o quando sia desiderabile un blocco a sella.
Il livello di una rachianestesia dipende non tanto dalla concentrazione della soluzione anestetica, quanto da:
1. posizione assunta all’esecuzione;
2. livello di iniezione;
3. baricità dell’anestetico.
L’efficacia dell’analgesia è operatore-dipendente sebbene spesso l’insuccesso possa essere legato alle caratteristiche del farmaco:
1. dosaggio inadeguato;
2. cattiva conservazione;
3. lunga esposizione a luce o a temperature elevate;
4. precipitazione dell’anestetico quando si aggiungono altri farmaci fisicamente incompatibili.
Altre cause di insuccesso possono essere rappresentate da particolari condizioni cliniche e da modificazioni morfologiche del rachide.
Il rischio di tossicità sistemica da anestetici locali è trascurabile. L’assorbimento sistemico materno determina una concentrazione ematica pari a circa il 5% rispetto a quella riscontrata dopo blocco epidurale, il passaggio transplacentare di farmaco è minimo come il rischio di effetti depressivi sul neonato. L’impossibilità di controllare l’esatta durata del blocco, insieme all’impossibilità di aggiustamenti del piano terapeutico in itinere, associate al blocco del simpatico che causa ipotensione, non pongono questa tecnica analgesica tra le scelte prioritarie.


BLOCCO PERIDURALE CONTINUO

L’analgesia epidurale continua è universalmente riconosciuta come la tecnica di scelta per la conduzione di un’analgesia ostetrica, permettendo di abolire il dolore per tutta la durata del travaglio e del parto e favorendo piena collaborazione e partecipazione della madre, fisica ed emotiva, alla nascita del proprio figlio. Il cateterino epidurale, posizionato precocemente, induce una analgesia continua sino al parto.
Un’analgesia ben condotta può apportare benefici sia alla madre che al feto poiché:
1. riduce l’iperventilazione e l’acidosi metabolica;
2. incrementa l’ossigenazione;
3. riduce il consumo di ossigeno;
4. si riducono i livelli delle catecolamine circolanti e degli ormoni dello stress, con evidente beneficio per la circolazione placentare e la normale attività uterina;
5. il flusso placentare aumenta, a seguito del blocco simpatico, con conseguente benessere fetale (31).
Nella donna gravida il posizionamento di un cateterino epidurale può risultare complesso a causa delle modificazioni fisiologiche indotte dalla gravidanza:
1. edema dei tessuti molli e dei legamenti intervertebrali;
2. ridotta flessibilità della colonna dovuta all’utero gravidico;
3. scarsa collaborazione della paziente in travaglio di parto;
4. dilatazione di plessi venosi peridurali;
5. aumento della pressione dello spazio perdurale.
Tali condizioni comportano maggiore rischio di complicanze, quali:
a. eventi neurologici, come convulsioni da iniezione intravascolare di farmaci, puntura accidentale di radici nervose, blocco spinale completo (32);
b. puntura accidentale della dura madre con conseguente cefalea (32, 33);
c. ematoma perimidollare da trattare neurochirurgicamente (32, 33).
La somministrazione dei farmaci può essere eseguita con diverse modalità:
a. boli intermittenti, richiesti direttamente dalla paziente (Patient Controlled Epidural Analgesia-PCEA) o dallo staff anestesiologico;
b. infusione continua – Continuous Epidural Infusion (CEI);
c. boli intermittenti su una infusione basale continua a basse dosi.
Tutte e tre le tecniche di infusione hanno un effetto analgesico sovrapponibile (34).
Non esistono evidenze certe sul timing di somministrazione più appropriato; la decisione deve comunque essere presa in modo individuale per ciascuna paziente e deve tenere conto della dilatazione cervicale, della parità e del grado di sofferenza della partoriente.
Secondo alcuni autori, l’analgesia peridurale, rispetto alle altre metodiche di analgesia, come oppiacei parenterali, analgesia inalatoria, blocco cervicale, determinerebbe:
1. riduzione significativa del dolore nel primo stadio del travaglio (34);
2. aumento significativo dell’impiego di ossitocina (23);
3. aumento significativo dell’incidenza di parti vaginali strumentali e di lacerazioni perineali di III-IV grado;
4. nessun significativo aumento nel ricorso al taglio cesareo (27);
5. nessuna significativa differenza negli esiti feto-neonatali in termini di liquido amniotico tinto, pH dell’arteria ombelicale, alterazioni del battito cardiaco fetale, indice di Apgar;
6. ricorso significativamente minore al trattamento neonatale con naloxone (35).
La posizione più idonea della paziente sarebbe in decubito laterale con la testa leggermente declive rispetto al busto, per il minor rischio di incannulamento dei plessi venosi perimidollari (35, 36). A differenza della subaracnoidea, l’analgo-anestesia peridurale è scarsamente influenzata dalla gravità e, quindi, dalla posizione della paziente.
Il lento onset, permette alla madre un miglior compenso allo squilibrio emodinamico dovuto al blocco del simpatico, con minore incidenza sia di ipotensione severa che di riduzione del flusso utero-placentare. L’anestesia epidurale si presenta, quindi, come tecnica di scelta nelle gestanti con preeclampsia o con malattie cardiovascolari.
La tecnica epidurale rappresenta il gold standard poiché:
1. la presenza del catetere permette aggiustamenti analgesici nell’intra/post-operatorio consentendo la somministrazione di boli refratti;
2. il livello e l’intensità del blocco sensoriale può essere modificato in base al tipo, al volume e alla concentrazione del farmaco somministrato;
3. è possibile l’impiego combinato di anestetici locali e oppiacei;
4. in caso di necessità, l’impiego di un anestetico a maggiore concentrazione permette di approfondire il blocco instaurando un’anestesia chirurgica.
Le possibili complicanze della tecnica epidurale sono rappresentate da:
1. puntura durale accidentale e conseguente cefalea;
2. incannulamento di un vaso epidurale o migrazione all’interno di un vaso del catetere peridurale;
3. puntura durale accidentale e somministrazione di elevate dosi di anestetico nello spazio sub-aracnoideo, con blocco spinale totale;
4. tossicità sistemica a seguito di somministrazione di elevate quantità di anestetico o di accidentale somministrazione intravasale dell’anestetico stesso;
5. blocco delle fibre motorie sacrali, inibizione del riflesso di Fergusson, determinato dal contatto della parte presentata con il pavimento pelvi-rettale. Se il blocco è molto esteso e profondo, può determinare una ipotonia dei muscoli addominali che può contribuire a ridurre l’efficacia della spinta (37).
Il lento onset, però, rappresenta uno svantaggio in situazioni di emergenza, dove non è possibile attendere.

TECNICA COMBINATA SPINALE-EPIDURALE (CSE)

L’analgesia combinata spinale-epidurale permette di sfruttare al meglio le caratteristiche vantaggiose di entrambe le tecniche, sfruttando l’analgesia sequenziale selettiva, in considerazione di tutte le caratteristiche del dolore durante il travaglio e la selettività farmacologica, con riduzione degli effetti collaterali, per cui ha riscosso un notevole successo in questi ultimi anni.
La scelta dei farmaci da impiegare può essere effettuata sulla base delle differenti fasi del travaglio:
1. primo stadio: oppiacei per via subaracnoidea associati o meno ad anestetici locali o adiuvanti (p.e. Clonidina);
2. secondo stadio: anestetici locali per via peridurale a bassa concentrazione.
La differente percezione ed intensità del dolore, giustificata dai diversi recettori e fibre nervose interessati, determinano lo switch di trattamento. La selettività farmacologica di oppiacei e clonidina per specifici recettori consente l’uso simultaneo dei due farmaci, utile per ridurre il dosaggio di entrambi e minimizzare gli effetti collaterali (effetto sinergico); nel secondo stadio del travaglio, l’azione sinergica di oppiacei o clonidina con gli anestetici locali consente l’uso di ridotte concentrazioni di questi ultimi, senza interferire sulla funzione motoria e sul grado di analgesia; la stabilità emodinamica risulta pressoché sovrapponibile a quella dell’analgo-anestesia epidurale.
I vantaggi del blocco combinato spinale e peridurale durante il travaglio di parto sono:
1. rapida comparsa con una buona analgesia;
2. assenza di blocco motorio;
3. bassi dosaggi dei farmaci impiegati e ridotto assorbimento fetale;
4. influenza minima sulla progressione del travaglio di parto;
5. modulazione farmacologica, con la possibilità di convertire l’analgesia ad anestesia quando questo venga richiesto dalla situazione clinica.
L’analgesia combinata spinale-epidurale in travaglio rispetto all’analgesia epidurale offre:
1. inizio più precoce dell’effetto analgesico (38);
2. maggiore autocontrollo e minor blocco motorio (39);
3. risultati controversi sulla durata del I stadio del travaglio (40,41);
4. nessuna significativa differenza sull’incidenza di parti strumentali e di tagli cesarei (42);
5. maggior riscontro, non significativo, di alterazioni del battito cardiaco fetale in relazione all’impiego dell’oppiaceo intratecale (43);
6. nessuna significativa differenza sul benessere neonatale (40).
I dati relativi all’incidenza di complicanze ascrivibili a questa tecnica, in relazione a fallimento della componente spinale dell’analgesia, diffusione subaracnoidea dei farmaci somministrati a livello peridurale, complicanze neurologiche, infezioni, cefalea post-puntura durale, non evidenziano significative differenze rispetto alla sola peridurale (44,45), ma si ritiene, tuttavia, che i dati relativi all’impiego della CSE in travaglio di parto e il suo impiego nei paesi europei non siano bastevoli per far accettare tale tecnica, come si evince dalla bassa incidenza di utilizzo (45).

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(Fine della prima parte, la seconda parte sarà pubblicata sul prossimo numero)