L’influenza dei fattori psicosociali e culturali sulla rilevazione del dolore

Introduzione

L’operatore sanitario si deve confrontare quotidianamente con il dolore: il dolore fisico dovuto alla malattia, il dolore procurato al paziente durante le procedure, il dolore morale del paziente che deve affrontare la malattia.
Il dolore cronico viene vissuto con ancora maggiore sofferenza, soprattutto dal paziente, in quanto fine a se stesso, perché in questo caso ha perso la sua utilità come “campanello d’allarme” di un danno organico.
L’individuo che prova dolore si trova in difficoltà a svolgere qualunque attività, perde la capacità di concentrazione e di organizzazione del pensiero; il dolore cronico in particolare invade e stravolge pesantemente la persona, le sue abitudini, la sua vita affettiva e lavorativa.
Secondo S. Bonino (1), psicologa che ha analizzato la propria esperienza personale di dolore cronico, sono numerosi i fattori che entrano in gioco nella nostra mente quando percepiamo dolore:
1. Emozioni: il dolore produce sofferenza psichica, portando facilmente a depressione e calo dell’umore.
2. Aspettative: se il dolore è acuto e intenso, ma il malato lo vive come evento temporaneo, sarà più facilmente sopportabile che non se il dolore continuerà a manifestarsi ripetutamente.
3. Aspetti sociali: il fatto di avere altri accanto può rendere il dolore più tollerabile, in quanto ci si sente capiti e sostenuti; in altri casi il fatto di avere persone che focalizzano l’attenzione sul dolore, lo rende più insopportabile.
4. Aspetti culturali: l’espressione del dolore è legata a codici culturali; in alcune culture il dolore viene vissuto in modo partecipativo, ed il malato esprime tutta la propria sofferenza apertamente; in altre culture la manifestazione del dolore viene considerata “sconveniente”. Chiedendo al paziente se ha dolore gli comunichiamo la nostra attenzione al suo problema, gli diamo la nostra disponibilità per alleviare la sua sofferenza, gli offriamo un’occasione in più per comunicare. Occorre inoltre considerare che in culture vicine alla nostra lamentare dolore viene spesso interpretato come “dare fastidio”, dimostrare debolezza e impazienza. Nell’odierna società multirazziale e multiculturale, ciò può essere causa di incomprensioni.
5. Aspetti antropologici: fin dall’antichità l’uomo ha cercato di dare un senso al dolore, visto come mezzo di punizione divina o come mezzo per guadagnarsi la salvezza eterna. Il dolore e la sofferenza sono sempre stati considerati parte integrante della condizione umana. Nelle culture più antiche la sopportazione del dolore era prova di raggiunta maturazione per i giovani che entravano nella società.
Negli ultimi 30 anni l’approccio dei sanitari al dolore è notevolmente cambiato: da un modello bio-medico che vedeva il dolore come esclusiva esperienza sensoriale, a un modello olistico, che considera il dolore un fenomeno multifattoriale (bio-psico-sociale).
Questo nuovo modo di intendere l’assistenza alla persona sofferente investe tutti gli aspetti della gestione del dolore, in particolare la rilevazione.
Attualmente abbiamo a disposizione numerosi strumenti validati per il monitoraggio del dolore: scale mono o multi dimensionali, scale oggettive per la rilevazione in pazienti con demenza, scale studiate per la varie fasi dell’ età pediatrica; malgrado ciò la loro diffusione non è ancora capillare e il corretto utilizzo è ostacolato da numerosi fattori socio-culturali.
Secondo Anderson (2000) (2,3) e Laliberte (4) nelle minoranze etniche il dolore non è trattato in modo ottimale a causa soprattutto di incomprensioni nella comunicazione. È opportuno segnalare che altri studi non confermano queste affermazioni (5,6), avendo rilevato differenze non significative.
Altri autori (7,8) hanno rilevato che diverse strategie di coping nell’affrontare il dolore sono legate a minore severità del dolore e disabilità, e che ci sono differenze significative tra le strategie di coping di pazienti caucasici rispetto a pazienti africani, e che quindi razza ed educazione dovrebbero essere entrambi presi in considerazione per un corretta gestione del dolore.
Le differenze etniche non sono l’unica barriera ad un adeguato controllo del dolore. La letteratura indica anche alcune popolazioni particolarmente a rischio (9-11): neonati, bambini, anziani, persone con deficit cognitivi, donne, persone con malattie mentali, e persone che conducono particolari stili di vita come, per esempio, i senzatetto e i tossicodipendenti, ovvero tutti coloro che per qualche motivo hanno difficoltà nel comunicare la propria sofferenza.
Pur riconoscendo che l’unico attendibile valutatore del dolore è il paziente stesso, i sanitari tendono a dare una propria valutazione e queste tipologie di persone spesso non vengono credute attendibili.
La rilevazione del dolore è fortemente condizionata dagli atteggiamenti culturali dei sanitari. Innanzitutto la letteratura riporta come pratica piuttosto diffusa quella di non credere al paziente che riferisce dolore (12,13). Anche il livello di esperienza sembra influenzare la valutazione del dolore; secondo alcuni studi (14,15), le infermiere con poca esperienza tendono a sopravvalutare il dolore, mentre le più esperte tendono a sottovalutarlo.

Conclusioni

Riguardo al dolore sia i pazienti che i professionisti sanitari hanno radicate convinzioni e atteggiamenti notevolmente influenzati dalla cultura, dalle esperienze passate, dal contesto socio-culturale. L’aspetto multiculturale della società odierna avvicina spesso il personale sanitario a manifestazioni (o non manifestazioni) del dolore che non comprende e non sa valutare.
Tutto ciò può determinare atteggiamenti “fatalisti” da parte di entrambi gli attori del rapporto sanitario-paziente, causando una cattiva gestione del dolore e quindi inutili sofferenze.

Bibliografia

1. Bonino S. Mille fili mi legano qui. Roma: Edizioni Laterza; 2006; p. 55-58.
2. Anderson KO, Richman SP, Hurley J, Palos G, Valero V, Mendoza TR, et al. Cancer pain management among underserved minority outpatients: Perceived needs and barriers to optimal control. Cancer. 2002; 94(8):2295–2304.
3. Anderson KO, Mendoza TR, Valero V, Richman SP, Russell C, Hurley J, et al. Minority cancer patients and their providers: Pain management attitudes and practice. Cancer. 2000; 88(8):1929–1938
4. Laliberte R. Doctors’ guide to chronic pain: The newest, quickest, and most effective ways to find relief. New York: The Reader’s Digest Association; 2003.
5. Foley KL, Farmer DF, Petronis VM, Smith RG, McGraw S, Smith K, et al. A qualitative exploration of the cancer experience among long-term survivors: comparisons by cancer type, ethnicity, gender, and age. Psycho-Oncology. 2006;15(3):248–258
6. Finley A., Kristjànsdòttir O, Forgeron P.A. Cultural influences on the assessment of children’s pain. Pain Res Manag.; 2009 Jan-Feb; 14(1):33-37.
7. Cano A., Mayo A., Ventimiglia M.Coping, pain severity, interference, and disbility: the potential mediating and moderating roles of race and education. J Pain. 2006; July, 7(7):459-468.
8. Edwards RR, Moric M, Husfeldt B, Buyanendran A. Ivanovich O. Ethnic similarities and differences in the chronic pain experience: a comparison of American, Hispanic, and White patients. Pain Med. 2005; Jan- Feb; 6(1): 88-89.
9. Twycross A. Perceptions about children’s pain experience. Prof Nurse.1998;Sept 13:;(12):822-6.
10. Larsson G, Sten B. Pain and distress among elderly.Heart Lung.1998;Mar,27:2.
11.Kaiser K. Clyde C., Perrone M, Tarzian A. Overcoming barriers to adequate pain management. Presented to the Nursing Practice Issues Committee, Maryland board of nursing; September 1999.
12. Di Giulio P, Crow R. Cognitive processess nurses and doctors use in the administration of prn (at need) analgesic drugs. Scand J Car Sci 1997; 11:12-19.
13. Wakefield AB  Pain: an account of nurses’ talk. Journal of Advanced Nursing 1995; 21: 905–910.
14. Lander J, Fallacies and Phobias about addiction and pain, British J of Addiction 1990;85: 803–809.
15. Choiniere M., Melzack R., Girard N., Rondeau J. & Paquin M. Comparisons between patients’ and nurses’ assessment of pain and medication efficacy in severe burn injuries. Pain 1990; 40:143–151.