È bastato il tempo di una notte

In questo numero di Pain Nursing Magazine, lo spazio riservato ai Gruppi di studio di infermieristica del dolore della Fondazione Procacci ospita una riflessione di Paola Giussani.
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Te ne rendi conto dopo. Fino ad allora lo sapevi, certo, ma non capivi. È bastato il tempo di una notte. Nel momento in cui te ne rendi conto il dolore è fortissimo, il dispiacere immenso, l’impotenza totale, le lacrime senza fine. Non ti capaciti di come la persona che era davanti a te nella salita, che ti ha sempre aiutato quando avevi bisogno, ora, mentre si intravede un po’ di pianura improvvisamente scivola e comincia a cadere.
È bastato il tempo di una notte.
Ora mi guarda da un letto, con lo sguardo fisso, incapace di difendere la proprio dignità ed intimità. L’unica cosa che riesco a fare è afferrare quella mano e far sì che quella caduta sia il più dolce possibile. Il suo sguardo mi dice che lei sa che è così e si affida. Mamma mia quanto fa male! Mai come oggi ho capito cosa sono le cure palliative. Io che sono un’infermiera e che delle cure palliative ho fatto la mia professione. Alle cure palliative ho dedicato tempo, passione nel creare progetti, rabbia per i fallimenti, lacrime per le tante persone che ho dovuto salutare, ma anche gioie per i mattoni rimasti, per le persone che ricordano le poche ore condivise, ma che per loro sono state importanti.
Queste cose le capisco ora, quando è il tempo della restituzione verso chi, per me, ha avuto gli stessi gesti di cura e ne ha avuto per gli altri e mi ha portato ad essere quella che sono. Sperimento anch’io la rabbia, la frustrazione, il dolore, l’impotenza e la gioia del prendersi cura. I gesti così tante volte rivolti e insegnati ad altri ora sono per colei che mi ha portato fino in cima alla salita. Penso alle tante persone incontrate, alle tante famiglie, ai tanti malati che ho seguito e che ora non ci sono più. Adesso capisco. Il peso è veramente tanto da portare! Una Croce a volte troppo pesante. E io lì con loro, con la mia competenza e la presunzione di volerlo sollevare questo peso.
E mi guardo indietro, penso al perché di una scelta. Una scelta fatta poco più che maggiorenne, quando si è spinti più che dalla consapevolezza della scelta stessa, da ideali nobili: fare qualcosa per gli altri. Questi “altri” con cui da sempre, da che ho memoria, negli anni ho dovuto condividere la mia casa, la tavola (“bambini spostatevi che dobbiamo aggiungere un posto a tavola, questa persona mangia con noi e dividiamo quello che c’è”), i genitori… (“stasera c’è questo/quello quest’altro”), sempre per qualcuno o qualcosa in cui credevano.
Nella mia indecisione di fine adolescenza, proprio lei mi fece conoscere un suo amico medico, che mi affascinò parlandomi della figura dell’infermiera, in verità più come vocazione/missione che come professione, ma allora questa idea era molto diffusa. Così scelsi la scuola infermieri, il diploma, e via, pronta con un bagaglio di conoscenze teoriche e pratiche da dispensare a chiunque ne avesse bisogno.
Poi divento donna, moglie, madre, con la responsabilità delle scelte. Ho sempre pensato di dover scegliere a discapito di qualcosa.
La famiglia al posto del lavoro.
Lavoro tranquillo al posto della carriera.
Gli altri al posto di me stessa.
Quanti dubbi e sensi di colpa:
– se era la scelta giusta occuparsi della morte degli altri,
– dedicare tanto tempo a un’idea perché potesse realizzarsi,
– quanta voglia di mollare tutto (il peso a volte è troppo da sopportare da soli e ti sembra sempre che nessuno ti capisca),
– allora non molli, ma vuoi ridefinire le cose perché cosi puoi avere tutto sotto controllo. E per le donne che lavorano l’organizzazione è essenziale: una brava donna si sa organizzare e arriva dappertutto).
La lista è lunga e sono sicura che ciascuno di voi potrà aggiungere una sua paranoia, ognuno avrà un suo elenco.
E con questa specie di schizofrenia, questi alti e bassi, di tutto e il contrario di tutto, sono passati trent’anni dal quel diploma e trent’anni di gesti di cura per gli altri, per i figli, veramente tanti.
Trent’anni di continui rivedersi e correggersi per arrivare a quello che sono ora. A ricercare quella consapevolezza di una professione e di una scelta.
Un work in progress.
E gli altri? Per me sono presenze importanti, a volte ingombranti e asfissianti dai quali ho bisogno di prendere le distanze per un po’. cerco di buttarli fuori dalla porta ma rientrano dalla finestra.
Gli altri sono quelli che mi aiutano a scegliere, sono quelli che incontri per caso e ti cambiano la vita,
Gli altri sono quelli che mi fanno vedere cose di me che non vorrei vedere.
Gli altri sono i malati che ti chiedono di star loro accanto.
Gli altri sono le famiglie che ti permettono di stare accanto.
Gli altri sono la tua famiglia, tuo marito e i tuoi figli, quelli per cui tante volte ti sei sentita in colpa perché pensavi di averli trascurati, ma dai quali invece ricevi la forza e il senso per continuare.
È bastato il tempo di una notte… ora lo so.
Essere infermiere non ti vaccina contro il dolore e la sofferenza.
Essere infermiere ti permette di condividere la tua stessa vulnerabilità di fronte alla sofferenza e alla morte.
Come mia madre con me ora, io con loro; il prendersi cura ci appartiene e si trasmette e la vita continua.
Per te mamma, adesso potrò essere un’infermiera migliore.

Paola Giussani
Coordinatrice infermieristica, Associazione Palma onlus, Como

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