Nuove strategie terapeutiche per il trattamento delle patologie algiche intestinali

Stitichezza, diarrea, dolore e gonfiore. Sono questi i sintomi più comuni delle patologie intestinali croniche. Malattie che colpiscono circa il 20-25% della popolazione italiana. Tra queste, troviamo disturbi funzionali, come la sindrome dell’intestino irritabile, e malattie infiammatorie croniche, tra cui il Morbo di Crohn e la Colite Ulcerosa. E, oggi, chi ne soffre in molti casi deve fare i conti con trattamenti farmacologici curativi e/o sintomatici spesso insoddisfacenti e il cui uso prolungato è inoltre limitato dall’insorgenza di effetti collaterali.

È per questo che sempre più spesso le classiche terapie farmacologiche vengono abbinate ad approcci fitoterapici e nutrizionali, con l’obiettivo di supportarne e potenziarne l’efficacia. Le piante officinali possono essere un valido aiuto per tutti quei disturbi acuti o cronici di cui soffre l’intestino, in virtù delle proprietà lassative, antinfiammatorie, carminative e regolatrici della funzionalità gastrointestinale. Se ne è parlato in occasione del Convegno Monotematico della Società Italiana di Farmacologia (SIF) dal titolo “Nuove strategie terapeutiche per il trattamento delle patologie algiche intestinali”, 16 e 17 febbraio a Firenze, presso l’Auditorium Ente Cassa di Risparmio di Firenze.

L’AZIONE SINERGICA DELLE PIANTE

Il compito principale dell’intestino è trasformare il cibo digerito, proveniente dallo stomaco, in molecole più semplici, per permettere l’assimilazione dei nutrienti, e di eliminare gli scarti di queste demolizioni attraverso la peristalsi. L’intestino, inoltre, svolge un’importante funzione di barriera immunitaria e la maggior parte dei suoi meccanismi è regolata dal sistema nervoso enterico che agisce in maniera autonoma, ma concertata con il sistema nervoso centrale.

Le patologie che interessano l’intestino spesso presentano un’eziologia multifattoriale, che comprende alterazioni a livello del microbiota, della barriera/permeabilità epiteliale, della risposta immunitaria e della segnalazione nervosa.

“Le piante e i loro derivati – spiega la Prof.ssa Carla Ghelardini, Ordinaria di Farmacologia all’Università di Firenze e tra gli organizzatori del Convegno – spesso contengono numerosi principi attivi al loro interno e questo fa sì che abbiano un elevato potenziale terapeutico nelle patologie gastrointestinali. Infatti, nel corso di diversi studi, è stato notato che l’efficacia dei trattamenti è massimizzata quando si riesce a combinare più meccanismi d’azione, ottenendo così un effetto sinergico su microbiota, mucosa intestinale, risposta infiammatoria e sistema nervoso, favorendo l’omeostasi intestinale”.

“È, altresì, possibile – prosegue l’esperta SIF – ottenere un’azione sinergica sull’intestino combinando diversi estratti vegetali in un unico prodotto naturale. Molte piante mostrano effetti benefici sull’intestino che le rendono attraenti per lo sviluppo di nuove formulazioni, da utilizzare da sole o in associazione con le classiche terapie farmacologiche, al fine di potenziarne l’efficacia e ridurne gli effetti collaterali”

ECCO LE PIANTE CHE AIUTANO A CONTRASTARE I DISTURBI INTESTINALI

Zenzero, capperi, frutti rossi, radice di liquirizia, malva, finocchio, angelica, rucola. Sono solo alcuni esempi della lunga lista di piante con accertati effetti terapeutici sull’intestino.

In caso di sintomi intestinali e di infiammazione, astragalo e zenzero risultano rimedi molto efficaci, così come frutti rossi e capperi, grazie alla presenza di quercetina (flavonolo che appartiene alla famiglia dei polifenoli). Effetti prebiotici e neuroprotettivi sono stati associati anche all’uso di estratti a base di rosmarino (ricco di acido carnosico). Altre spezie, come il timo, possono invece favorire il benessere intestinale attraverso attività spasmolitiche e antimicrobiche.

In caso di stitichezza e di disturbi legati alla sindrome dell’intestino irritabile, trova impiego la radice di liquirizia, che svolge una leggera azione lassativa grazie alla presenza di mannite (mannitolo), uno zucchero naturale che agisce contro la stipsi. Le foglie e i frutti secchi del mirtillo, invece, esercitano un’azione antidiarroica e hanno anche un effetto antisettico, utile nel trattamento delle coliche dolorose addominali e delle cistiti.

Alcune erbe, come la malva o lo psillio, aiutano a sfiammare l’intestino, grazie alla presenza delle mucillagini, che trattenendo l’acqua ammorbidiscono le feci.

“Le mucillagini presenti in queste piante – spiega la Prof.ssa Ghelardini – si comportano come innocuo lassativo naturale di tipo meccanico e sono oltretutto dotate di effetto antinfiammatorio, emolliente e protettivo per le mucose delle pareti intestinali. Lo psillio è, in particolare, del tutto innocuo ed è indicato per la stitichezza in gravidanza e allattamento, nei bambini e in tutti i casi in cui non si possono assumere lassativi che provocano la peristalsi in modo aggressivo attraverso contrazioni muscolari”.

Ancora: finocchio, angelica e melissa trovano ampio impiego per la loro azione carminativa che aiuta l’eliminazione dei gas intestinali; mentre piante come rucola e camelina esercitano effetti neuroprotettivi sull’intestino utili nel contrastare lo sviluppo di dolore e disfunzioni intestinali croniche.

E questa lista potrebbe proseguire a lungo. Tuttavia, ciò che è importante sottolineare è che molte delle piante dotate di proprietà benefiche sull’intestino sono dei veri e propri alimenti e quindi potrebbero essere integrate nella dieta come “nutraceutici”. Pensiamo al melograno, al mirtillo, alla rucola, all’oliva, al mango e allo zenzero.

“L’utilizzo di integratori a base di piante o di approcci dietetici – conclude l’esperta – assume ancora maggior rilevanza nell’ottica del trattamento di bambini affetti da patologie gastrointestinali. Tuttavia, come accade per i prodotti farmaceutici, l’utilizzo di interventi fitoterapici dovrebbe basarsi su prove scientifiche di efficacia corroborate da uno studio razionale del meccanismo sottostante. Questo tipo di approccio ‘farmacologico’ permette non solo di prevenire effetti collaterali indesiderati, ma anche di ottimizzare i protocolli di trattamento”.

“RESTAURARE” L’INTESTINO GRAZIE AL TRAPIANTO DI MICROBIOTA: UNA REALTÀ SEMPRE PIÙ CONCRETA

Personalizzare l’approccio affinché la terapia sia davvero cucita su misura in base alle diverse patologie e al singolo paziente. È questo il principale orizzonte della ricerca quando si parla di trapianto di microbiota fecale (Fecal Microbiota Transplantation – FMT), pratica medica finalizzata a ristabilire una condizione di simbiosi fra microbiota ed ospite. Questa tecnica, in particolare, consiste nell’isolare e purificare il microbiota del donatore sano a partire dalle sue feci, per poi trasferirlo al paziente al fine di correggere la condizione di disbiosi di cui è affetto (alterazione del microbiota).

Se oggi questo tipo di trapianto è approvato solo per la terapia dell’infezione da Clostridium difficile (batterio altamente resistente all’antibioticoterapia), sono in corso numerosi studi per la valutazione della sua efficacia in un’ampia gamma di patologie che va ben oltre l’area della gastroenterologia.

NUOVI STUDI, NUOVE OPPORTUNITÀ

“I risultati, sebbene preliminari, degli studi condotti sino ad oggi suggeriscono una possibile utilità del trapianto di microbiota fecale nelle infezioni multi-resistenti, nel caso di malattie gastrointestinali, disturbi metabolici, patologie neurologiche e tumori”, afferma il Prof. Lorenzo Di Cesare Mannelli dell’Università di Firenze.

In particolare, per quanto riguarda il trattamento delle patologie intestinali e del relativo dolore viscerale, il trapianto di microbiota emerge come un utile strumento sia per trattare la malattia che per ridurre il dolore, bersagli difficilmente raggiunti dalle terapie attualmente disponibili.

“Tuttavia, le prove di efficacia e sicurezza disponibili – precisa il Prof. Di Cesare Mannelli – sono ancora limitate e richiedono ulteriori approfondimenti, prima di poter formulare raccomandazioni circa l’utilizzo del trapianto fecale in contesti diversi rispetto all’infezione da Clostridium difficile. Negli ultimi anni gli studi sul trapianto fecale sono aumentati rapidamente, restituendo risultati promettenti, sebbene variabili. La ricerca è ancora agli inizi e diverse sono le questioni da chiarire“.

NUOVE SFIDE PER UN TRAPIANTO A MISURA DI PAZIENTE

Diverse le criticità ancora da risolvere: a partire dal comprendere pienamente quale sia la procedura ottimale per l’esecuzione del trapianto e le caratteristiche del microbiota da considerare nella selezione dei donatori.

Generalmente, il trapianto avviene per via rettale, attraverso la colonscopia. In alternativa, è possibile utilizzare un clistere, un sondino naso-gastrico o delle capsule gastroresistenti. In tutti i casi, una delle principali incognite resta il livello di attecchimento dei microrganismi trapiantati nell’intestino del paziente. Questo dipende dall’ambiente (lume intestinale) in cui il microbiota si trova a dover sopravvivere: ambiente che è influenzato da molteplici fattori, tra cui dieta, farmaci e la presenza di altre patologie. L’attecchimento è, infatti, maggiore nei pazienti con malattie infettive, i quali presentano uno squilibrio del microbiota più semplice da trattare rispetto a chi soffre di patologie croniche, che sono associate a condizioni di disbiosi più complesse e consolidate.

Per quanto riguarda, invece, l’individuazione delle caratteristiche ottimali del microbiota da trapiantare un grande aiuto può venire dall’intelligenza artificiale.

“La prospettiva futura è quella di ottimizzare – conclude il Prof. Di Cesare Mannelli – la procedura del trapianto in base al problema che deve essere affrontato e, quindi, mirare ad una terapia cucita su misura per ciascuna patologia e per ogni paziente. Oggi, grazie all’intelligenza artificiale è possibile predire con accuratezza la composizione del microbiota del ricevente dopo il trapianto. Questo nuovo strumento potrebbe portare all’identificazione di ‘super-donatori’ da cui partire per massimizzare la riuscita dell’intervento, la quale è strettamente correlata alla ‘bontà del microbiota’ che attecchisce post-trapianto”.

Man mano che aumenterà la comprensione di questi aspetti, sarà possibile ottenere procedure maggiormente standardizzate ed efficaci, che consentiranno di conseguire una minore variabilità nella risposta dei pazienti e di allargare l’uso del trapianto fecale oltre quello attuale, che oggi è considerato – è importante ricordarlo – una procedura sicura e ben tollerata.

Comunicati SIF, Società italiana di Farmacologia

Programma del Convegno