La meditazione come opportunità terapeutica nel dolore cronico: esperienza personale in una popolazione thailandese residente in Italia

Introduzione
La scala OMS ci fornisce la strategia per valutare il dolore con il passaggio da un gradino all’altro e quindi da un farmaco con una potenza analgesica più debole ad uno con potenza analgesica più forte (quando c’è insufficiente analgesia perché il dolore persiste o cresce di intensità). Si dovrebbe focalizzare l’attenzione sul fatto che in tutti e tre gli step sono sempre consigliati i farmaci adiuvanti laddove ce ne sia indicazione.  Un altro aspetto importante che va sottolineato è la presenza in realtà di un quarto gradino che contiene un approccio non-farmacologico.
Questo tipo di approccio, che dovrebbe essere il primo preso in considerazione, si basa su alcuni importanti fattori che influenzano in maniera significativa la qualità di vita del paziente affetto da dolore cronico. Il soggetto in questione dovrebbe infatti mettere in pratica delle modificazioni del proprio stile di vita, come ridurre il peso corporeo, svolgere regolare attività fisica, seguire una dieta equilibrata con riduzione dell’introito di sale, abolire o diminuire in modo sostanziale il consumo di fumo ed alcol, quando necessario fare sedute di fisioterapia/riabilitazione e ridurre i livelli di stress.
L’ultimo punto è molto importante, in relazione a questo articolo, per la relazione esistente tra meditazione e riduzione dello stress che si è visto essere molto importante nell’abbassare la percezione del dolore. Quindi, la meditazione può e dovrebbe essere considerata un ausilio importante nell’approccio non-farmacologico della terapia del dolore cronico.
La meditazione è la pratica di concentrazione della mente su uno o più oggetti, immagini, pensieri a scopo religioso, spirituale, filosofico o semplicemente per il miglioramento delle proprie condizioni psico-fisiche. In ambito psicologico è definita come uno stato della coscienza che può essere ottenuto mediante l’indirizzamento volontario della nostra attenzione verso un determinato oggetto (meditazione riflessiva) o mediante la completa assenza di pensieri (meditazione recettiva). Nelle numerose filosofie e religioni orientali è tipico l’impiego di una meditazione recettiva, al contrario della meditazione riflessiva più tipica dell’occidente.
Una delle più antiche e tra le più diffuse al mondo è la meditazione buddhista. I metodi principali della meditazione buddhista sono divisi in “samatha” (meditazione della tranquillità) e “vipassana” (meditazione dell’intuito e del profondo, senza “oggetto” di meditazione). La meditazione samatha include la coscienza o consapevolezza del respiro (anapanasati) tra i metodi di base, molto importante per lo sviluppo della concentrazione e solitamente precede e prepara alle meditazione vipassana che ha, tra i tanti obiettivi, quello di neutralizzare l’ansia e sviluppare la pace interiore. Anche i soggetti in studio in questo lavoro sono buddisti theravada che praticano la meditazione vipassana.
Molte conferme sono arrivate dal mondo della ricerca scientifica riguardo gli effetti della meditazione sulla salute (1). Nel 1975 Herbert Benson mise in luce il fatto che durante la meditazione c’è un decremento del consumo di ossigeno, la concentrazione dell’ossigeno del sangue che rimane costante o aumenta lentamente corrispondente ad una richiesta minore di ossigeno durante la pratica, una diminuzione dell’output di anidride carbonica, diminuzione della frequenza respiratoria da quattordici atti al minuto a dieci atti respiratori al minuto, diminuzione della frequenza cardiaca e pressione arteriosa sistemica e il livello dei lattati nel sangue, indicatore di stress, diminuisce anch’esso durante la pratica. Sono modificazioni in senso migliorativo sullo stato dell’organismo durante lo svolgimento di tale tecnica (2).
In uno studio condotto da ricercatori della Yale University e  Harvard University nel 2005 (5) si mostra come la meditazione sia associata ad un incremento dello spessore  corticale. Grazie alle immagini della risonanza magnetica è possibile vedere come la pratica regolare della meditazione aumenti questi circuiti in regioni corticali correlate con la sensibilità e la percezione interna (battito cardiaco, frequenza respiratoria, dolore). La reiterazione di gesti e comportamenti, se supportata abbastanza a lungo, crea nuovi percorsi neuronali che sosterranno nuovi comportamenti e percezioni. Il modello che abbiamo ricevuto in dotazione è come se fosse predisposto  per nuove ed infinite possibilità potenziali. La zona dei lobi frontali e prefrontali del cervello assume un ruolo centrale. Una parte della neocorteccia riguarda alcune forme di ragionamento e l’attivazione di certi tipi di emozioni positive e può intervenire nel ridimensionare o inibire, ad esempio, reazioni istintive ed eccessive dell’amigdala (3,4).
Andrew Newberg dell’Università di Pennsylvania sottopose ad indagine con tomografia computerizzata ad emissione di singoli fotoni (SPECT) monaci buddhisti e suore cattoliche con decenni di esperienza meditativa ed i loro lobi frontali sono risultati molto più attivi del normale. Soprattutto la corteccia prefrontale di sinistra risulta attiva quando si manifestano stati di ottimismo, speranza, allegria e con la meditazione si riesce a diminuire l’attività della corteccia prefrontale di destra, che insieme alla amigdala risultano più attive quando invece siamo coinvolti in stati emozionali negativi (5-7). Addirittura qualcuno, tra cui Bruce Lipton, sostiene che la meditazione influenza la cellula, come se si trattasse di un fenomeno di epigenetica, i nostri geni non si autocontrollano ma sono  controllati dall’ambiente, infatti il nucleo della cellula, anche se contiene il DNA, non è fondamentale come la membrana cellulare, è essa che risponde alle influenze esterne e mette in atto modifiche per la funzionalità e la sopravvivenza della cellula stessa (8).
Scopo del nostro studio è stato quello di mettere a confronto meditanti esperti con meditanti non-esperti in relazione a quanto la pratica meditativa riesca a controllare il dolore cronico.

Materiali e metodi
È stata osservata una piccola popolazione di cittadini thailandesi residenti nel centro Italia. Tutti i soggetti hanno dichiarato di essere vegetariani e di non seguire alcuna terapia farmacologica (né per il dolore, né per altre patologie – peraltro dichiarate essere assenti).
Tutti i soggetti hanno dato consenso informato al trattamento dei propri dati, personali e clinici. I soggetti hanno affermato di praticare il Buddhismo fin dall’infanzia e di seguire l’indirizzo della scuola Theravada anche presso un monastero buddhista del Lazio.

Soggetti dello studio
La popolazione totale del nostro campione era composta da 78 soggetti (35 uomini, 43  donne; età media 45,2±17,6 anni, range 10-72), ma sono stati coinvolti nello studio solo i soggetti con età superiore a 30 anni: 60 soggetti (27 uomini, 33 donne; età media 54,1±10,4 anni, range 31-72). Dei soggetti studiati (60), riferivano di avere dolore cronico (DC) 28 soggetti (46,6%; 12 uomini, 16 donne; età media 53,2±8.6 anni, range 48-67): dei quali, 16 hanno dichiarato di soffrire di lombalgia cronica (LBP, durata >8 anni; media 10,2±2,4 anni, range 6-12) (57,14% di quanti avevano DC; 26,66% di chi era >30 anni; 10 uomini, 6 donne; età media 52,8±7,8 anni, range 46-65) e 12 hanno dichiarato di soffrire di osteoartrosi alle ginocchia (G.OA, durata >10 anni; 13.7±4.5 anni, range 8-15) (42,85% di quanti avevano DC; 20% di quanti >30 anni; 4 uomini, 8 donne; età media 54,2±8,1 anni, range 47-67) (Tabella 1).

Valutazione del dolore
A tutti i pazienti è stata illustrata la compilazione della scala analogica visiva (VAS) per la valutazione del DC. È stata raccomandata la compilazione della VAS prima e dopo almeno 5 sedute di meditazione praticata in 5 giorni consecutivi (i dati riportati rappresentano la media delle rilevazioni).

Grado di capacità ed esperienza meditativa
I soggetti con DC sono stati suddivisi in 2 gruppi:
–          meditanti esperti (ME, con pratica di oltre 10 anni, in grado di praticare meditazione, in ogni singola seduta di pratica, per un periodo compreso fra 40 e 60 minuti)
–          meditanti non esperti (MNE, con pratica inferiore a 3 anni, in grado di praticare meditazione, in ogni singola seduta di pratica, per non più di 20 minuti)
I soggetti hanno specificato che la pratica di meditazione (per tutti) era quella denominata vipassana.

Tabella 1
Tabella 1

Valutazione statistica
Per la valutazione della significatività statistica dei confronti sono stati utilizzati i test “t” di Student per dati appaiati e per dati non appaiati; un’ulteriore valutazione della eventuale significatività dei confronti è stata eseguita con il test del χ2.

Risultati
Dei 78 soggetti che costituiscono una popolazione di cittadini thailandesi residente in Italia, di osservanza buddhista, ad indirizzo Theravada, e strettamente vegetariani, sono stati selezionati 60 soggetti. Fra questi, il 46,6% (n. 28) riferivano DC secondario a LBP (n. 16, 26,6%) ed a G.OA (n. 12, 20%) (Tabella 2 e Figura 1). Il DC aveva durata pari a 12,3±3,6 anni (range 6-15) [LBP >8 anni: media 10.2±2.4, range 6-12; G.OA >10 anni: media 13,7±4,5, range 8-15].
Nessuno dei soggetti assumeva (né riferiva di aver mai assunto nel passato) alcuna terapia analgesica, in ragione della loro tendenza filosofica, esperienziale ed esistenziale.
Il DC è stata valutato su scala VAS.  Nei 28 soggetti in totale con DC, la valutazione media è risultata pari a 5,1±1,8. I soggetti sono stati poi suddivisi in 2 gruppi, in ragione della capacità e dell’esperienza della pratica meditativa: meditanti esperti (ME), con sedute di pratica fra 40’ e 60’, e meditanti non esperti (MNE), con sedute di pratica non superiore a 20’. È stata proposta la valutazione del DC basale (rilevata dopo almeno 2-3 giorni di non-pratica meditativa) e dopo un ciclo di sedute di pratica meditativa di 5 giorni consecutivi.
La VAS basale per i 28 soggetti con DC era pari a 5,1±1,8. Dopo 5 giorni consecutivi di pratica, i ME riferivano una riduzione significativa (p<0.01) del dolore (VAS 3,0±0,5) rispetto alla valutazione basale, mentre i MNE riferivano solo una modesta riduzione del dolore (VAS 4,4±0,4) che non è risultata significativa. Non raggiungeva la significatività il confronto fra i 2 gruppi.

Tabella 2
Tabella 2
Figura 1
Figura 1

Discussione
Da questo lavoro sono emersi dei risultati che ci sembrano interessanti. La media basale del dolore riferito, misurata mediante la scala analogica visiva (VAS), dei soggettiDC è di 5,1 ± 1,8 ed è stata rilevata dopo almeno 2-3 giorni di non-pratica meditativa. Questo valore è sceso in entrambi i gruppi in cui sono stati suddivisi in base alla loro esperienza nella pratica come meditatori. Nel gruppo dei meditatori non esperti la VAS, dopo 5 giorni di meditazione per circa 20 minuti al giorno, si riduceva a 4,4 ± 0,4 e ciò sta a significare che anche in meditatori poco esperti che praticano la meditazione da meno di 3 anni, è comunque apprezzabile il ruolo di questa pratica nel diminuire la percezione del dolore, in patologie come il LBP e la G.OA, anche senza un valore significativamente statistico. Ancora più rappresentativo è il risultato ottenuto tra i meditatori esperti (18), che hanno ridotto la VAS fino a 3,0 ± 0,5 in modo statisticamente significativo. Nei meditatori esperti tale riduzione è da far riferire al fatto che sono soggetti che meditano da più di 10 anni fino a 40-60 minuti ogni seduta. Il risultato ottenuto dal confronto tra i due gruppi di meditanti non-esperti e gli esperti non è statisticamente significativo e ciò può essere dovuto al fatto che il numero dei soggetti osservati è modesto.
Quindi, più tempo si dedica alla meditazione e più significativi saranno i risultati, ma alcuni miglioramenti si hanno già a partire dall’utilizzo di questa pratica sin dalle prime sedute.
La meditazione è una pratica che dovrebbe essere consigliata vivamente all’interno di un approccio non-farmacologico nella terapia del dolore cronico. Il fatto che ci sia bisogno di una determinata costanza nell’avvicinarsi a questa disciplina non deve scoraggiare dal prenderla in considerazione poiché sono tantissimi gli studi che ne affermano una reale efficacia. Nell’approccio multimodale della terapia antalgica, oltre ad un tempestivo inizio della terapia farmacologica, potrebbe essere il caso di prendere seriamente in considerazione l’opportunità che ci viene offerta da questa antichissima pratica, insieme a tutti i suoi benefici sia a livello fisico che mentale.

Bibliografia
1. Perez-De-Albeniz A, Holmes J. Meditation: concepts, effects and uses in therapy. International Journal of Psychotherapy 2000;5(1):49–59.
2. Benson H, Klipper M Z.  The Relaxation Response. New York: HarperCollins 2001.
3. Lazar SW, Bush G, Gollub RL, Fricchione GL, Khalsa G, Benson H. Functional brain mapping of the relaxation response and meditation NeuroReport 2000;11:1581-1585.
4. Researchers of Yale University, Harvard University, Massachusetts General Hospital e Massachusetts Institute of Technology Meditation Associated with Increased Grey Matter in the Brain, 2005.
5. Newberg AB, Alavi A, Baime M, Pourdehnad M, Santanna J, D’Aquili Eg. The measurement of regional cerebral blood flow during the complex cognitive task of meditation: a preliminary SPECT study. Psychiatry Research: Neuroimaging 2001;106:113-122.
6. Baron Short E, Kose S, Mu Q, Borckardt J, Nuberg A et al. Regional Brain Activation During Meditation Shows Time and Practice Effects: An Exploratory FMRI Study. Evid Based Complement Alternat Med 2010;7(1):121–127.
7. Holzel BK, Carmody J, Vangel M, Mindfulness practice leads to increases in regional brain gray matter density Psychiatry Res 2011;191(1):36–43.
8. Lipton B. The biology of Belief. Diegaro di Cesena (FC): Macro Edizioni 2007.