Medicina cura te stessa

Nonostante gli innegabili successi terapeutici oggi la medicina ha perso l’anima, ha perso la capacità di relazione ed è impregnata di intellettualismo, di razionalismo, di tecnicismo e di riduzionismo scientifici. Senza ovviamente disconoscere i vantaggi e le capacità di intervento ottenuti con questo tipo di visione scientifica, dovrebbe finalmente decidersi ad accettare anche quella visione potentemente innovativa che è nata dalle scoperte della fisica moderna e della psicologia del profondo nel ventesimo secolo, come alla fine dell’Ottocento aveva faticosamente accettato l’invisibile, che allora aveva preso il nome di batterio (e poi virus), oggi dovrebbe (ri)aprirsi ad altri tipi di realtà invisibile chiamati psiche o inconscio o archetipo (nel linguaggio della psicologia del profondo) e connessioni o entanglement(nel linguaggio della fisica). Il rapporto medico paziente non può essere solo quello riduzionistico-meccanicistico ma è un rapporto archetipico, quello del guaritore-malato,

Parole chiave: rapporto medico-paziente, anamnesi, empatia, cura, entanglement

Abstract

Despite the undeniable therapeutic successes, today medicine has lost its soul, has lost the ability to relate and is impregnated with intellectualism, rationalism, technicalism and scientific reductionism. Obviously without disregarding the advantages and the intervention capacities obtained with this type of scientific vision, medicine should finally decide to accept also that powerfully innovative vision that was born from the twentieth century discoveries of modern physics and psychology, as at the end of the Nineteenth century had laboriously accepted the invisible, which then took the name of bacterium (and then virus), today it should (re) open itself to other types of invisible reality called psyche or unconscious or archetype (in the language of depth psychology) and connections or entanglement (in the language of physics). The doctor-patient relationship cannot only be the reductionist-mechanistic one but it is an archetypal relationship, that of the healer-patient.

Keywords: doctor-patient relationship, anamnesis, empathy, care, entanglement

 

I

Nonostante gli innegabili successi terapeutici oggi la medicina ha perso l’anima, ha perso la capacità di relazione ed è impregnata di intellettualismo, di razionalismo, di tecnicismo e di riduzionismo scientifici.

Per potersi trasformare dovrebbe almeno cominciare a riconoscere i limiti del vecchio orizzonte scientifico in cui si sta ancora muovendo, ancora legato alla fisica newtoniana e alla sua capacità di descrizione della realtà limitata al mondo macroscopico e visibile.

Senza ovviamente disconoscere i vantaggi e le capacità di intervento ottenuti con questo tipo di visione scientifica, dovrebbe finalmente decidersi ad accettare anche quella visione potentemente innovativa che è nata dalle scoperte della fisica moderna e della psicologia del profondo nel ventesimo secolo: come alla fine dell’Ottocento aveva faticosamente accettato l’invisibile, che allora aveva preso il nome di batterio (e poi virus), oggi dovrebbe (ri)aprirsi ad altri tipi di realtà invisibile chiamati psiche o inconscio o archetipo (nel linguaggio della psicologia del profondo) e connessioni non locali o entanglement(nel linguaggio della fisica).

La medicina deve dunque curare se stessa. Deve curare se stessa per curare nuovamente l’uomo nella sua totalità e non solo delle parti rappresentate dai suoi meccanismi fisiologici somatici o dai puri sintomi (siano essi fisici o mentali) ignorandone il significato. Perché segni e sintomi di malattia sono espressione in superficie di disagio profondo e non si può cercare solo di spegnerli ignorandone il senso, riducendoli esclusivamente a manifestazione di un meccanismo biologico guasto (anche in caso di malattie da invecchiamento e usura).

La medicina, infatti, non è solo una scienza, non è ingegneria, ma è soprattutto rapporto umano associato a una conoscenza del funzionamento del vivente nei suoi aspetti somatici e sottili (psichici e mentali). Il medico non può essere sostituito dai meccanismi digitali di un computer (considerando l’informatica la massima espressione nel XXI secolo del razionalismo illuministico-positivista sette-ottocentesco [1]), da esami di laboratorio, da strumenti diagnostici. E questo perché l’uomo che si vorrebbe trasformare in oggetto, in agglomerato di organi, cellule e molecole non è in realtà una macchina (2), ma un organismo vivente dotato di coscienza e autocoscienza, oltre che di livelli profondi e misteriosi di inconscio. Livelli profondi e misteriosi che si celano anche nelle profondità della cosiddetta materia, che nei suoi aspetti subatomici diventa campo energetico quantistico che sfugge alle leggi newtoniane del mondo macroscopico. Mondo in cui purtroppo ancora si muovono la mentalità medica e il senso comune della maggior parte delle persone, che in generale ignorano l’interazione e l’influenza dell’osservatore sulla realtà che sta osservando (cioè della relazione, qualunque relazione, non solo quella fra medico e paziente) e della interconnessione fra le varie parti del reale (3).

Se la medicina diventa ingegneria e l’uomo diventa oggetto, così come il suo corpo e la sua mente (meccanismi mentali, psicologia cognitiva), il medico cessa di essere tale e la medicina diventa un rapporto di potere fra un essere che ne assoggetta un altro, considerandolo una cosa e trattandolo come si tratterebbe una cosa, senza empatia o compassione, facendo calare il sapere dall’alto al basso. È il caso di dire che oggi la medicina, trasformata in ingegneria, ha ingabbiato i medici nei meccanismi dell’io scientifico e razionale e nei rigidi limiti della descrizione della realtà fisica illuministico-newtoniana, descrizione troppo angusta per riuscire a rappresentarsi le forze che si nascondono sotto di essa, siano esse quelle dell’inconscio o quelle della Natura:“…per la medicina (scientifica)…occorre che la malattia, come la salute, sia consegnata all’analisi di una ragione scientifica che ne asseveri la fisica naturalità, ne assicuri la riduzione a controllabili eventi, ne statuisca la disciplina a leggi formulabili. … Per essa (ragione) la malaria non è più effetto di insalubrità secolari, ma l’iniezione anofelina di Plasmodium, la tisi non è più prodotta dagli stenti e dalle ambasce ma dal Mycobacterium Tuberculosis, il crepacuore non si dà più come risultato di dolenti emozioni, ma per occlusione ateromatosa di un’arteria coronarica. E così ancora per altre verità innumerevoli e innumerevolmente riduttive” (4).

La cura e la diagnosi dell’uomo è stata con il passare del tempo disumanizzata e delegata alle molecole (farmaco), alle radiazioni o alla corrente elettrica o alla luce coerente (laser, TAC, RMN, PET ecc.), al computer (5) e sottratta alla parola (al dialogo, alla raccolta dell’anamnesi cioè della storiadel malato), all’ascolto, al gesto e alla comprensione del suo mondo interno immaginale (psiche): “… il paziente ha bisogno di trovarsi personalmente con il medico, di parlare del suo problema di salute e ha bisogno di ascoltare il medico che deve innanzitutto interloquire con lui, infondere fiducia ed esprimere autorevolezza… Il rapporto medico-paziente, come d’altra parte ogni rapporto fra gli uomini, non potrà mai essere sostituito da una tastiera e da uno schermo” (6).

Nessuno nega i successi della medicina scientifica o della chirurgia moderne e nessuno vuole metterli in discussione. Quello che si vuole mettere in evidenza è che la cura dell’uomo-macchina da parte di un medico-macchina ha moltiplicato in maniera esponenziale le patologie che sfuggono alla gabbia della razionalità oggettivante e delle scienze figlie del riduzionismo meccanicistico: la patologie mentali, le patologie da inquinamento o da disagio della civiltà  (come direbbe Sigmund Freud), le patologie psicosomatiche, le patologie da disagio sociale, le epidemie (psicosi collettive e totalitarismi, febbri virali).

Il medico-macchina che esercita il potere narcisistico-autoreferenziale-scientifico del soggetto su quello dell’oggetto-paziente privato di parola, se non di dignità, non è più capace di esercitare l’antichissima cura delle anime e dello spirito, un tempo sua principale funzione, attraverso l’ascolto delle parole del paziente e il contatto fisico delle mani sul suo corpo con la visita medica.

Oggi il potere del medico è stabilito dalla sua scienza, dalla techne (7), cioè quasi esclusivamente dalla conoscenza razionale di mecccanismi biologici, ma non da sofia, cioè dalla Sapienza del medico in grado di incarnare una archetipica figura sacerdotale o sciamanica (l’uomo-medicina delle tradizioni indiane d’America, tibetane o della antica medicina greca asclepiea): “…Ma, pur con molte eccezioni, il medico di base non è in grado di farlo (capire i sintomi), di fare il medico, è un burocrate che ha bisogno dell’ausilio della tecnologia. Quando vai in ambulatorio non ti guarda nemmeno in faccia, ti prescrive subito una mezza dozzina di esami, con perdita di denaro e soprattutto di tempo… C’è una differenza fondamentale fra l’attuale medico di base e il vecchio ‘medico di famiglia’. Il medico di famiglia conosceva bene la tua storia e appunto quella della tua famiglia ma, soprattutto, il suo unico strumento di conoscenza era proprio il corpo del malato, gli respirava addosso (adesso non vengono a visitarti nemmeno a casa, le diagnosi le fanno a distanza, magari utilizzando il video). E conoscendo il corpo e le reazioni, fisiche e psicologiche, dei suoi pazienti, era in grado di fare le necessarie comparazioni e valutazioni, la diagnosi. Il rapporto di fiducia col proprio medico è già una cura. Non si può avere lo stesso rapporto con una macchina” (8).

Si intende perciò affermare che la medicina se non è psicosomatica non è medicina e anche che ogni malattia del corpo è simbolica e va interpretata in quanto tale. Il riduzionismo biologico non è sufficiente a comprenderla perché la malattia ha anche un significato sia psichico che spirituale (9), gli organi e le cellule del corpo essendo la polarità manifesta di un campo di informazione nascosto e inconscio (nel caso della biologia questo è stato definito come campo morfogenetico intorno al quale si organizza la struttura vivente da Rupert Sheldrake [10] e nel caso della psicologia come archetipo dell’inconscio collettivo, secondo la terminologia di C.G. Jung  [11]).

È anche importante far notare che questa idea di associare un determinato organo a un certo psichismo che lo caratterizza, o viceversa uno psichismo caratterizzato da un organo, rappresenta il nucleo dinamico della Medicina Tradizionale Cinese (12).

II

Carl Gustav Jung affermava che:  “Quanto più un fatto interiore non viene reso cosciente, si produce fuori, come destino. Ossia quando il singolo rimane indiviso e non diventa cosciente del suo antagonismo interiore il mondo deve per forza rappresentare quel conflitto…” (13).

Il fatto interiore che la medicina attuale non vuole vedere e che le ritorna contro come forza oscura distruttiva attraverso la politica, la burocrazia, la tecnologia o l’industria farmaceutica, che vogliono gestire la sanità al suo posto, è l’Ombra del potere medico.

Il potere assoluto del terapeuta, l’Ombra tenebrosa della maschera del medico in camice bianco, si modula poi in termini antagonisti dall’esterno come ragione scientifica o come ragione di Stato. Entrambe queste forze cercano di mostrare al medico quale sia la sua attuale malattia, il suo attuale difetto, cioè la sua immagine narcisistica autoreferenziale di forza e potere (ma anche di brama di denaro [14]) che però proiettala parte debole di sé sull’altro, sul malato.

Il medico poi subisce, proprio a causa della sua mancata presa di coscienza di questa Ombra (…quanto più un fatto interiore non viene reso cosciente…) e a ruoli invertiti, la forza della burocrazia o quella della scienza o della tecnologia (farmaceutica, chimica, biologica, economica, informatica) che lo opprimono e tentano di renderlo umanamente e terapeuticamente impotente, come lui fa inconsapevolmente con il paziente, salvo poi lamentarsene.

Il medico senza Ombra consapevolmente portata alla coscienza non si accorge che è solo vittima di se stesso e dell’ignoranza delle sue azioni e dei suoi stati mentali (come tutti quelli che non riflettono sui propri comportamenti esterni e sui propri fattori psichici interiori del resto).

Nell’attuale medicina riduzionistica: “…curare vorrà dire, diagnosticamente, ridurre il malato alla sua malattia, la malattia alla sua localizzazione organica, l’organo malato al danno obbiettivabile, il danno a un segno e il segno alla sua misura. Poi ripercorrere, terapeuticamente, il percorso inverso: la correzione del segno mistificata come eliminazione del danno, il silenzio dell’organo come sconfitta della malattia, l’obliterzione della malattia come restituzione della salute. In questo processo…l’uomo fatto cosa è diventato cosa di un altro uomo… A lui (il medico) sono dati il vantaggio ed il potere, l’autorità ed il sapere. A lui, blandito con i miti della ‘missione’  e della ‘libertà professionale’, è concesso dettare le clausole, fissare i codici del rapporto con il malato: suoi infatti ne sono il linguaggio ed il discorso, il luogo ed il tempo, la regola e la libertà. Di lui, soprattutto, è lusingata la soggettività di un atto che deve fare e confermare, nell’altro uomo, l’oggetto. E ciò soltanto perché, risolto il dubbio nella falsa conoscenza, anestetizzato lo scrupolo nel profitto, egli non si avveda di essere un gestore a sua volta gestito…. La sua è, dunque, una situazione di crisi come quella del malato della quale condivide la condanna e la salvezza. Perché l’unica salvezza del medico è col malato che a lui la chiede. Se saprà finalmente e veramente passare dalla sua parte, essere con lui nella lotta per il suo diritto di salute e di vita, rifondare con lui una scienza a sua misura ed una medicina al suo servizio…” (15).

Il rapporto medico paziente però non può essere quello riduzionistico-meccanicistico ma è un rapporto archetipico, quello del guaritore-malato, che solo con la medicina scientifica si è degradato al rapporto di potere fra meccanico e macchina guasta. Nel rapporto archetipico la distinzione fra soggetto e oggetto non è così definita come nella visione scientifica di stampo newtoniano-cartesiano, usata ancora oggi dalla medicina, che vede nell’altro e nel mondo solo un oggetto e in se stessi solo il soggetto, ignorando colpevolmente ogni interconnessione: “Il rapporto fra terapeuta e paziente è un rapporto personale nel contesto impersonale del trattamento. Nessun artificio può impedire che la cura sia il prodotto di un’influenza reciproca a cui paziente e terapeuta partecipano interamente… L’incontro di due personalità è simile alla mescolanza di due diverse sostanze chimiche: un legame può trasformarle entrambe. Da ogni trattamento psichico efficace ci si deve aspettare che il terapeuta eserciti la sua influenza sul paziente, ma questa influenza può verificarsi soltanto se il paziente lo influenza a sua volta.Influenzare significa essere influenzati. Non giova affatto a chi cura difendersi dall’influsso del paziente, avvolgendosi in una nube di autorità paternalistico-professionale: così facendo egli rinuncia a servirsi di un organo essenziale di conoscenza. Il paziente esercita lo stesso, inconsciamente, la propria influenza sul terapeuta e provoca mutamenti nel suo inconscio: quei perturbamenti psichici (vere lesioni professionali)… illustrano clamorosamente l’influenza quasi ‘chimica’ del paziente. Una delle manifestazioni più note di questo genere è la ‘controtraslazione’ indotta dalla traslazione, ma sono frequenti gli effetti di natura assai più sottile. A darne un’idea può servire l’antica concezione del demone della malattia: la malattia può essere trasmessa a una persona sana che, grazie alla sua salute, sottometterà il demone, non senza pregiudicare però il proprio benessere.” (16).

Nel rapporto fra guaritore e malato entrambi i poli dell’archetipo si mostrano nelle due persone che si confrontano nella situazione dell’incontro terapeutico: nel guaritore c’è anche la malattia, la ferita, che aprendosi permette di accogliere l’altro, e nel malato c’è anche un guaritore interno, che si attiva nell’incontro e cura da dentro. La proiezione reciproca delle parti inconsce sull’altro (nel guaritore è inconscio il malato, nel malato è inconscio il guaritore), se non riconosciute come avviene purtroppo oggi, generano un pericoloso rapporto di potere in cui uno è solo sano (il cosiddetto medico) e l’altro è solo malato (il cosiddetto paziente), uno è adulto e potente, l’altro è infantilizzato e reso oggetto, al limite cadavere, perché il massimo dell’oggettività è il corpo senza vita se le cose vanno male (si veda il vasto capitolo delle malattie iatrogene o delle operazioni chirurgiche inutili): “L’archetipo può essere definito come una innata potenzialità di comportamento. Quando gli esseri umani si trovano di fronte a una situazione tipica e ricorrente, reagiscono archetipicamente a persone e cose: la madre reagisce archetipicamente nei confronti del figlio o figlia, l’uomo reagisce archetipicamente nei confronti della donna, e così via; in questo senso certi archetipi hanno, per così dire, due poli. Nella situazione di base dell’archetipo c’è una polarità…. Ciascuno di noi nasce con i due poli dentro di sé; se uno di essi si costella nel mondo esterno, si costellerà anche quello interno di segno opposto. Il bambino risveglia il senso materno nella madre…. Secondo questo modo di vedere è possibile avanzare l’ipotesi che non esista un particolare archetipo del guaritore o del paziente, ma che essi siano due aspetti dello stesso archetipo. Quando una persona si ammala, viene costellato l’archetipo guaritore-paziente; il malato cerca il guaritore esterno, ma nello stesso tempo si attiva anche il guaritore intrapsichico a cui spesso facciamo riferimento chiamandolo il ‘fattore di guarigione’. È il medico che esiste all’interno del paziente stesso e la sua azione curativa è uguale a quella del medico che compare sulla scena esterna. Nessuna ferita può rimarginarsi e nessuna malattia può risolversi senza l’azione curativa del guaritore interno. Si dice comunemente che di un paziente: ‘Non vuole guarire’, ma questa non volontà di risanamento non riguarda ovviamente la volontà dell’Io. Non dovremmo dire: ‘Non vuole guarire’, ma piuttosto esprimere più precisamente il fenomeno affermando: ‘Il suo guaritore interno sembra debole’.”

In questo rapporto archetipico la parola e il gesto sono i principali veicoli della guarigione, contrariamente alla medicina riduzionistica che tende a sminuire se non annullare il rapporto umano, il gesto, la parola, l’ascolto, la sofferenza, cioè la pazienza. Se si allontana il paziente si fa fatica ad accogliere pathos, cioè la sofferenza, che però è anche la capacità di sopportazione, la pazienza, l’empatia, la compassione, la simpatia. Se si perde il senso del rapporto diventa allora sufficiente la ricetta del medico o una frettolosa visita o una consultazione telefonica, tanto tutto è delegato al farmaco, alla pillola magica, non all’uomo-medicina e alla relazione.

Riguardo al gesto e al contatto fisico fra medico e paziente: “… la mano…è lo strumento della dolcezza che contribuisce a stabilire un rapporto di totale fiducia (tra medico e paziente). Una unione prima di tutto fondata sull’affetto è ciò che trasmette il sentire ‘la mano guaritrice’ che entra in contatto con il Male e con il dolore, per calmarli. L’imposizione delle mani può essere considerata come un gesto istintivo, spontaneo (si porta naturalmente la mano dove c’è il dolore) ma, al di là della testimonianza della tenerezza, c’è il desiderio più o meno cosciente di portare sollievo e, come la madre che tocca la fronte febbrile del suo bambino, di offrire una sorta di sacrificio oscuro grazie al contatto con il Male e di trasmettere un po’ della propria forza all’essere che ne manca e che soffre.”

Questo vuoto della storia, questo vuoto del rapporto, questo vuoto dell’umanità, questo vuoto dell’ascolto e della capacità di accogliere costituiscono la malattia della medicina, sono l’espressione all’esterno della lesione dell’aspetto femminile interiore del medico (la sua Anima). Esprimono il suo atteggiamento eroico troppo duro, maschile e razionale, che si difende da o nega le emozioni, la sofferenza, l’anima. Il medico-eroe agisce anche con successo alla superficie dell’essere, sugli aspetti materiali dell’essere umano. Ma se la malattia non è curata alla radice si ripresenterà sotto un’altra forma e la psiche umana cercherà di nuovo il rapporto con qualcuno che se ne prenda carico (vedi i continui ritorni di certi pazienti dal medico o nel pronto soccorso, ogni volta con qualche patologia diversa, oppure dallo psichiatra per le svariate espressioni di somatizzazione di ansia o depressione mascherata o di conversione isterica…).

La carenza della capacità di ascolto è l’errore fondamentale del medico-macchina. Perché l’ascolto della storia del paziente, cioè l’anamnesi, è il momento più importante dell’incontro fra i due soggetti, l’unico veramente importante, sia ai fini della diagnosi che a quello della terapia.

Rifiutare l’ascolto dell’altro (sia esso paziente o familiare di un paziente) in ultima analisi è rifiutare una parte di sé malata di cui non si è consapevoli. E questo accade quando il medico è troppo centrato sulla coscienza dell’Io (narcisismo) e non è capace di ascoltare né vedere i propri complessi psichici inconsci: a questo punto l’archetipo guaritore/malato si dissocia e le due parti sono reciprocamente proiettate sui due attori della relazione.
Ma se già in una visione medica classica la raccolta della storia clinica del paziente era importantissima, cosa rappresenta veramentel’anamnesi (il ricordo) per una medicina da rinnovare e curare? Cosa si devono veramente ricordare il medico e il paziente, al di là della superficie delle parole?

Essi devono ricordare il significato psicologico e quello simbolico dei malesseri del corpo, il loro lato invisibile: le emozioni, i pensieri e i sogni, che sono invisibili. Ma anche se invisibili la loro azione sul corpo è potente e spesso precede o è in sincronia con la manifestazione somatica.
L’anamnesi, il non-oblio, è anche il recupero della memoria delle nostre radici profonde, aspaziali e atemporali, animiche: in greco A-letheia significa non-oblio(per gli antichi greci il Lete era il fiume in cui si immergevano le anime prima di nascere per dimenticare il mondo da cui provenivano e le vite passate). Aletheiasignifica in grecoVerità. Quindi ricordare è riconoscere la Verità, che è il non-oblio delle nostre origini, del nostro nucleo essenziale contrapposto a quello esistenziale: “l’uomo vive in un perenne stato diconflitto tra la verità del mondo esterno nel quale è stato posto e la verità interiore dell’anima che lo lega alla fonte della vita, e viene conteso tra le due parti finché non riconosce di essere vincolato a entrambe”.
Ma l’oblio è soprattutto l’ignoranza della interconnessione del Tutto all’interno della Realtà, il non vedere l’Unità del Tutto, la Rete dei collegamenti, come viene descritta ormai sia dalla psicologia del profondo (inconscio collettivo e aspetto psicoide dell’archetipo, sincronicità) che dalla fisica moderna (connessioni non locali, entanglement): “le particelle subatomiche, quindi, non sono ‘cose’ ma interconnessioni fra ‘cose’, e queste ‘cose’, a loro volta sono interconnessioni fra altre ‘cose’, e così via. Nella teoria quantistica non si trovano mai ‘cose’, ma si ha sempre a che fare con interconnessioni. Ecco in che modo la fisica moderna rivela la fondamentale unità dell’universo. Essa dimostra che non possiamo scomporre il mondo in unità minime esistenti indipendentemente. Man mano che penetriamo nella materia, la natura non ci rivela mattoni da costruzione isolati, ma ci pare piuttosto come un tessuto complesso di relazioni fra le parti di un tutto unificato. Come si espresse Heisenberg:‘Il mondo appare così come un complicato tessuto di eventi, in cui rapporti di diverso tipo si alternano, si sovrappongono e si combinano determinando la struttura del tutto.’… Ma al di là di queste connessioni locali ce ne sono altre non locali, che sono istantanee e non possone essere predette, attualmente, in modo matematico esatto. Queste connessioni non locali sono l’essenza della realtà quantistica. Ogni evento è influenzato dall’intero universo, e anche se noi non siamo in grado di descrivere questa influenza nei particolari, riconosciamo un qualche ordine che può essere espresso nei termini di leggi statistiche…. Il teorema di Bell inflisse un colpo distruttivo alla posizione di Einstein dimostrando che la concezione cartesiana della realtà come formata di parti separate, unite da connessioni locali, è incompatibile con la teoria quantistica….Il ruolo fondamentale delle connessioni non locali e della probabilità nella fisica atomica implica una nuova nozione della causalità che avrà probabilmente implicazioni profonde per tutti i campi della scienza.”. Medicina compresa, aggiungiamo noi.
Questo oblio delle radici essenziali e delle connessioni ha inevitabilmente come logica conseguenza la separazione fra le parti del tutto e la divisione dell’Io dal Tu, e quindi per tornare al nostro discorso anche quella del medico dal paziente. Un’altra conseguenza è la dissociazione della coscienza dell’Io dalle parti inconsce della personalità, considerate Altro da se stessi e proiettate nella realtà esterna (egocentrismo, narcisismo, proiezione dell’Ombra su un capro espiatorio, scissione dell’archetipo guaritore-malato ecc.).
Senza questa consapevolezza della interconnessione nessun mutamento nei rapporti umani, neanche quelli di potere fra medico e paziente, sarà mai veramente possibile, perché sarà prevalente la visione limitata che separa e divide: l’Io non potrà mai vedere nel Tu una parte della sua personalità globale complessa se si ritiene separato da lui e dal mondo, disconnesso e solo, invece che interconnesso in una rete universale misteriosa e sconfinata.

III

Come può essere possibile oggi per il medico farsi veramente carico del bisogno se prevale in lui una visione della realtà ancora legata a una scienza e a una psicologia riduzionistiche e ormai obsolete?
Solo la percezione delle forze invisibili e profonde emerse dalle scoperte del XX secolo può permettere alla medicina di non esser più oggettivante e arrogante, incapace di cura.
Fra le forze profonde ci sono quelle archetipiche dell’inconscio collettivo descritte un tempo dai miti: “… ‘Tu Giove che hai dato lo spirito, al momento della morte riceverai lo spirito. Tu, Terra, che hai dato il corpo, riceverai il corpo. Tu, Cura, che per prima hai creato e fatto vivere il corpo, lo ’possiederai’ finché vivrà e si chiamerà Homo perché è stato tratto dall’humus cioè dalla Terra.’ (Igino, Fabulae, CXX). Mi sto riferendo al mito nel quale si narra di Saturno che, nel dirimere una diatriba fra la Terra e Giove su chi dovesse dare il nome alla nuova creatura chiamandola uomo, diede a Cura il compito di mantenere in vita le sue creature (gli uomini) dimostratesi molto fragili, deboli, mortali. La cura – interessamento premuroso per una persona, per un essere vivente (pianta, animale) o per un oggetto – richiede impegno attivo, ma anche la partecipazione emotiva e viene rivolta, in genere, secondo le indicazioni del mito, verso persone, esseri o oggetti deboli, bisognosi. Cura nel mito non aveva solo il compito di mantenere in vita le creature, doveva occuparsene, proteggendole, difendendole. … La cura è farsi carico del bisogno, anche non manifestato, dell’altro; è quindi assunzione di responsabilità; è andare oltre il dovere e svolgere la propria azione con l’intenzione di fare qualcosa per migliorare, tutto e tutti. Il medico si assume la responsabilità del malato e lo cura con le medicine migliori...”

La difficoltà di assumersi la cura e l’ascolto dell’altro è legata all’attuale difficoltà dell’Io di percepire e sopportare i valori oscuri e femminili della personalità (che sono: l’apertura, il tollerare la ferita interiore e esteriore, la misericordia, la gentilezza, la sopportazione, la passività nel senso positivo di capacità di lasciare alle cose il tempo di maturare, arrendersi alla sofferenza e tollerarla con tenacia, non combatterla con ostinazione). La nostra civiltà è diventata sempre più orgogliosa, maschile e dura con il passare dei secoli ed educa tutti secondo l’immagine del mito dell’eroe, anche i medici: Frangar, non flectar! (Mi spezzerò ma non mi piegherò!).

Liberare il medico dalla sua immagine narcisistica di potere e costringerlo a prendere coscienza della propria Ombra, cioè della ostinazione egocentrica, della sua volontà di potenza, dominio, comando e controllo sull’altro e sulla realtà, è un compito difficile. È un compito al quale ogni medico si dovrebbe dedicare individualmente e con costanza.  Non è facile osservare se stessi da una prospettiva diversa e superiore rispetto agli automatismi del complesso dell’Io e riflettere per liberarsene (re-flectere: ripiegarsi su se stessi per vedersi da fuori, come in uno specchio appunto).

La rinuncia all’egocentrismo è possibile solo con un sacrificio. Ma sacrificare significa rinunciare a qualcosa in nome di un’istanza superiore, generalmente un dio o delle divinità (=visione olistica, e non riduzionistica, dell’Universo), significa rinunciare al desiderio di dominio dell’io, al decisionismo autocratico così comune nei medici, alla loro bellicosità, alla durezza che è incapacità di accogliere e tendenza a rigettare. Un’impresa difficile, ma non impossibile se ci si ricorderà sempre che nel guaritore c’è dentro un malato e nel malato un guaritore interno in relazione dialettica, anche se invisibile.

L’egocentrismo rende impossibile l’empatia con l’altro, in questo caso con il paziente. È La mancanza di risonanza, di transfert, di apertura, di una mente-specchio che riflette tranquillamente: l’empatia come forma di conoscenza è la capacità di pensare e di sentire in se stessi la vita interiore di un altro, è la risonanza con l’altro che permette di conoscerlo nel profondo.

È la paura di percepire la sofferenza altrui attraverso la propria che è all’origine della chiusura e della perdita di sensibilità del medico (rigidità come difesa dalla percezione del dolore, intellettualizzazione come meccanismo di difesa dell’io, ben rappresentati dalla burocratizzazione o dalla tecnologia dell’atto medico che facilitano il distanziamento dal corpo e dalle emozioni del paziente, e dalle proprie, cioè dal controtransfert: è tipico di certa medicina il moltiplicare gli esami e le analisi per placare l’ansia, soprattutto nei casi gravi).

Conclusioni

L’intuizione della interconnessione fra le varie parti del reale (la rete di Indra/entanglement, si perde nella notte dei tempi dell’umanità.
Di questa intuizione comune a tutte le religioni a volte diventiamo consapevoli: noi siamo l’altro, in uno stato di empatia fusionale. Allora il medico percepisce di essere anche il malato e il malato di essere anche il medico (archetipo del guaritore non dissociato in due persone distinte, ma che le riunisce in uno stato empatico).
La vera novità che oggi rivoluziona il passato consiste nel fatto che è anche possibile avere una conferma scientifica di questa interconnessione che prima era solo intuitiva, e questo dovrebbe renderci saggi. Non possiamo proprio più ignorare che noi siamo l’altro e che l’altro siamo noi e che tutto è misteriosamente interconnesso. Se continuerà a ignorarlo la medicina non sarà capace di curare se stessa. E nemmeno gli uomini.

Note e bibliografia

  1. Varanini F. Le Cinque Leggi Bronzee dell’era digitale. E perché conviene trasgredirle. Milano: Guerini e Associati, 2020.
  2. Nella parola ‘macchina’ è già insita la logica del potere…: La parola macchina/meccanismo deriva dalla radice ittita mekkis, che significa potere, forza, grande. In sanscrito è magh, crescere, aumentare, da cui il latino magnus, magus. La radice indoeuropea in tedesco diventa macht, forza, potenza. (Pianigiani O. Vocabolario etimologico della lingua italiana. Roma: Società Editrice Dante Alighieri, 1907, digitalizzato 2008).
  3. Teodorani M. Entanglement. L’intreccio nel mondo quantistico: dalle particelle alla coscienza. Cesena: Macro ed., 2020.
  4. Maccacaro G. Per una medicina da rinnovare. Milano: Feltrinelli, 1979: 142-143.
  5. Siamo purtroppo sempre più vicini all’incubo orwelliano del medico-robot: v. Claudio Testuzza. ‘Se Amazon si mette a fare il medico’. In: Il giornale della previdenza dei medici e degli odontoiatri. Anno XXVI – n° 4/2021; “In un futuro più che mai prossimo potrebbe essere un medico virtuale di Amazon a decidere quando è necessario l’intervento di un collega umano…” ecc.
  6. Lettera a Il Fatto Quotidiano, mercoledì 12 maggio 2021. Maurizio Zirillo, anatomopatologo a Thiene (VI). ‘La telemedicina stravolge il nostro lavoro. E i pazienti.
  7. Dal greco téchne = arte (collegato alla poiesis, ovvero alla produzione), la parola rimanda ad una radice indoeuropea, tek = tessere, la stessa da cui derivano, tramite il latino, i termini: testo, tela, testa, testuggine. Il passaggio dal greco all’italiano non è lineare e semplice. In latino techne è sostituita da ars, artis: da una radice comune ad artus e arma (strumento, articolazione). Nella lingua latina compare solo un raro aggettivo derivato dal greco, technicus (maestro di un’arte). Le lingue neoromanze usano parole derivate da ars per indicare le “arti meccaniche”, cioè i lavori manuali che richiedevano una certa abilità: art (francese), arte (spagnolo o italiano), l’equivalente in inglese è craft. L’aggettivo tecnicus riprende vita, nel primo ‘600 in Inghilterra, dove si ritrova tecnical (riferito a persona, 1617); mentre in Francia la prima segnalazione di tecnique è del 1721 (attestato, nel 1756, dall’Académie française). Nel 1764 esce la più famosa opera illuminista, l’Encyclopedie: il sottotitolo recita: “Dictionnaire raisonné des sciences, des arts e des métiers” (là dove arts sta ancora per tecniche). In Italia l’aggettivo sembra sia entrato nel 1754-56, mentre il sostantivo “tecnica” risale al 1891. Per curiosità si può ricordare che in Cina l’ideogramma di tecnica, significa, al tempo stesso, arte, mistero e processo. È rappresentato come un crocevia, vale a dire cammino, strada, comunicazione.
  8. Massimo Fini. L’anno del fallimento della scienza medica. Articolo in: Il Fatto Quotidiano, martedì 23 marzo 2021.
  9. De Souzenelle A. Il simbolismo del corpo umano. Gorle (BG): Servitium ed., 2010.
  10. Sheldrake R. La mente estesa. Milano: Feltrinelli, 2018.
  11. Jung CG. Gli archetipi dell’inconscio collettivo. In: Opere, Vol. 9. Torino: Boringhieri ed., 1980.
  12. Nguyen Van Nghi. Patogenesi e patologie energetiche nella medicina cinese. Milano: Unicopli, 1983. Deadman P, Al-Khafaj, M, Baker K. A Manual of Acupuncture. Journal of Chinese Medicine Publications, 2007. Rochat de la Vallée E. La medicina cinese. Spiriti, cuore, emozioni. Milano: Jaca Book, 2008. Rochat de la Vallée E., Larre C. Dal “Huangdi Neijing Lingshu”. La psiche nella tradizione cinese (Psyche in Chinese Tradition). Milano: Jaca Book 1994.
  13. Jung CG. in: Opere vol. 9/2, Aion, Ricerche sul simbolismo del Sé, p. 67, Torino:Bollati Boringhieri ed., 1982.
  14. Albert Bruce Sabin creò il vaccino contro la poliomielite e rinunciò a soldi e brevetto per diffonderlo anche fra i poveri: “Tanti insistevano che brevettassi il vaccino, ma non ho voluto. È il mio regalo a tutti i bambini del mondo”. Era ebreo e le sue due nipotine furono uccise dalle SS. Alla domanda se lui avesse desiderio di vendetta rispose: “Mi hanno ucciso due meravigliose nipotine, ma io ho salvato i bambini di tutta l’Europa. Non la trova una splendida vendetta? Vede io credo che l’uomo più potente sia quello che riesce a trasformare un nemico in un fratello” (cit. in: Bosco. T Uomini come noi, SEI, 1968: 108).
  15. Maccacaro G. Per una medicina da rinnovare. Milano: Feltrinelli, 1979: 159-160.
  16. C.G. Jung, Problemi della psicoterapia moderna. In: Opere Vol. XVI, Boringhieri, Torino, 1981: 80) – v. anche: Cambray J. Synchronicity. Nature and Psyche in an interconnected universe. Texas A & M University Press, 2009: 29-30: ‘He (Jung) borrowed and transmuted the language of physics in an attempt to enlarge psychology while simultaneously seeking to use this same psychology to incorporate and extend physics itself. In the process his psychology was altered, archetypal theory was revised, the notion of the psychoid was given greater relevance, and a new pathway for exploring coincidences was opened. Jung’s theories thus were changed by the encounters with Pauli and modern physics more generally in a manner reminiscent of Jung’s own views of the therapeutic process in which both partners are altered: “The relation between doctor and patient remains a personal one within the impersonal framework of professional treatment. By no device can the treatment be anything but the product of mutual influence. … For two personalities to meet is like mixing two different chemical substances: if there is any combination at all, both are transformed. . . . You can exert no influence if you are not susceptible to influence. (Jung, Die Probleme der modernen Psychotherapie, 1929)”
    As a theory, synchronicity therefore seeks to present a universal principle, something fundamental to the world, at the core of existence and not only human existence but of the world itself. Jung seeks to go beyond the descriptions of classical physics, as the best of his contemporaries in physics were doing, but using his psychological understanding to derive a compensatory notion to causality. This was guided in part by the project of articulating a holistic science, valuing the profound interconnectedness of all things. Discerning patterns of the whole that link disparate elements into a unity that cannot be adequately described by reductive approaches provided a perspective Jung felt was missing from the scientific worldview of his day. In the nineteenth century a similar vision had been sought by those following the naturphilosophie of the German Romantic tradition, but with few successes. With the aid of the revolution brought by modern physics, and in dialogue with some of its exponents, Jung brought the equally revolutionary psychology of the unconscious to bear on an emerging description of the world in which the psychological and the physical are inextricably intertwined.
  1. Guggenbuhl-Craig A. Al di sopra del malato e della malattia. Milano: Cortina ed., 1987: 75-76.
  2. Camus D. Enquete sur les mondes sorciers. Tome I. Le désenvoutement. Rennes: Editions Ouest-France, 2016: 208.
  3. Albertini M. La casa sul mare. In: Pain Nursing Magazine – Italian Online Journal 2017: 6:52-60. V. anche: Imagination and Hysterical pain in: maurizioalbertini.com
  4. Dis-ob-audire = disobbedire: etimologicamente ed essenzialmente è l’incapacità di ascolto da parte dell’Io dell’altro, anche e soprattutto quando questo altro è il nostro Sé profondo, mentre l’obbedire = ob-audire, è la capacita di ascoltarsi, di ascoltare gli altri o la Voce dell’Anima o dello Spirito in noi. L’assurdo = ab-surdum, è la sordità all’Essenziale che diventa l’assurdità del vissuto e del comportamento, conseguenza del non ascolto e della disobbedienza al Sé: v. Annick de Souzenelle, op. cit.
  5. Albertini M. La casa sul mare. In: Pain Nursing Magazine – Italian Online Journal 2017: 6:52-60
  6. esistenziale = da ex-sistere, stare fuori (dall’Essere, dall’essenziale), stare nel creato. nel mondo.
  7. Jung CG. In: Vol. 18, La vita simbolica, pag. 290. Torino: Boringhieri, 1981.
  8. Jung CG. In: Vol. 8, La dinamica dell’inconscio: “La sincronicità come principio di nessi acausali (1952)”. Torino: Boringhieri, 1976.
  9. Heisenberg W. Physics and philosophy. New York: Harper & Row, 1962 (Fisica e Filosofia, Il Saggiatore, 1966).
  10. Fritjof Capra F. Il punto di svolta. Milano: Feltrinelli, 1984: 69-73.
  11. Cambray J. Synchronicity. Nature and Psyche in an interconnected universe. Texas A & M University Press, 2009: 44: “Another archetypal field image is “Indra’s net” from Indian and Chinese Buddhist philosophy. This image is one of the primary metaphors of the Hua-yen, or flower garland school: In the heaven of the great god Indra is said to be a vast and shimmering net, finer than a spider’s web, stretching to the outermost reaches of space. Strung at each intersection of its diaphanous threads is a reflecting jewel. Since the net is infinite in extent, the jewels are infinite in number. In the glistening surface of each jewel is reflected all the other jewels, even those in the furthest corner of the heavens. In each reflection, again are reflected all the infinitely many other jewels, so that by this process, reflections of reflections continue without end.
    As already seen, Leibniz’s monads also share this same fundamental image, his mirror thesis insists that each monad reflects all others, that is, the whole universe in itself. A holistic, radically interconnected, reflective universe has been a recurrent imagining of humanity, and Jung’s theory of the Self together with the collective unconscious offer a psychological reading of this archetypal pattern. Synchronicity becomes a particularly potent manifestation of the field with the resonant reflections of internal and external events.”
  1. Nunzio Galantino. Farsi carico del bisogno. Articolo in: Domenica del Sole 24 ore, 24 luglio 2016, n. 202.
  2. Orazio. Odi, III, 3, 1-8.
  3. Il testimone/osservatore nascosto che guarda con distacco il comportamento dell’io di cui parla il Vedanta: l’Atman che osserva l’Aham. Vedi Calasso R. Il teatro di posa della mente. In: Allucinazioni Americane. Milano: Adelphi ed., 2021.
  4. Le parole Medicina, Meditare e Mente hanno una radice etimologica comune. Dal sanscrito Medha deriva mente e sapienza, dalla radice Mad-, Madh- derivano Medeo, curo le malattie, in latino, e Meditari, forma intensiva di Medeo/Mederi che significa pensare, misurare. La radice Ma- /Man- nelle lingue arie ha il doppio senso di misurare e pensare (mente). In greco: Mehos, Consiglio, Medomai, Deliberare, Mahos, Maestro, Manthano, Insegno, Imparo a conoscere. Antico Slavo: Mad-ru: intelligente. (Pianigiani O. Vocabolario etimologico della lingua italiana. Roma: Società Editrice Dante Alighieri, 1907, digitalizzato 2008).
  5. Citato e tradotto dal francese: Sorrel P. L’expérience de la liberté interieure, Lulu Press, 2016: “Nel giudaismo: ‘Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te stesso’ (Rabbi Hillel, 70 a.C), o ancora ‘Ciò che ti è odioso, non farlo ad altri’ (Talmud, Shabbat, 31a). Nel Cristianesimo: ‘Ciò che volete che gli uomini facciano per voi, fatelo voi stessi per loro’ (Vangelo secondo Matteo, 7, 12 e secondo Luca, 6, 31). L’Islam lo completa: ‘Nessuno di voi sarà un vero credente finché non amerà per suo fratello ciò che ama per se stesso’ (Maometto, 600 d.C.). Induismo: ‘Tratta gli altri come vorresti tu stesso venire trattato.’ (Epopea del Mahabharata, 400 a.C.); Jainismo, ‘L’uomo dovrebbe camminare in maniera indifferente alle cose terrestri, e trattare tutte le creature come gli piacerebbe essere trattato.’ (Sutrakritanga, 500 a.C.); Confucianesimo, ‘Non fate agli altri ciò che non volete vi sia fatto’ (Dialoghi, XV, 23); Buddismo, ‘Non ferire gli altri con dei mezzi che tu stesso sentiresti che ti feriscono’ (Udana-Varga, 518); Taoismo, ‘Considera che il tuo vicino guadagna il suo pane, e che il tuo vicino perde ciò che tu perdi’ (Lao-Tzu, 600 a.C.). Per concludere: Zoroastrismo, ‘Tutto ciò che ti dà fastidio, non farlo neanche agli altri’ (Shayast-na-Shayast, 13-29, 1000 a.C.).”