La valutazione del dolore in geriatria: l’anziano senza deficit cognitivi

INTRODUZIONE

L’Associazione Internazionale per lo studio del dolore (IASP) definisce il dolore un’esperienza spiacevole, sensoriale ed emotiva, associata ad un danno tessutale in atto o potenziale, o descritto in termini di tale danno” (IASP, 1979) (1).
La semeiotica classica determina il dolore come il più soggettivo tra i sintomi, il più influenzato, mediato, ingigantito o ridotto da infinite variabili psichiche, personali, culturali, sociali e ambientali.
Il dolore nell’anziano raramente dipende da un’unica causa ma risulta generalmente il prodotto di più patologie croniche potenzialmente debilitanti e di fattori psicologici e sociali che, pur non essendo i responsabili eziologici dello stimolo nocicettivo, possono modulare la percezione e la risposta allo stesso (2,3). Il dolore nell’anziano viene troppo spesso sottostimato e di conseguenza sottotrattato. Circa l’80% degli anziani soffre di un disturbo cronico che provoca dolore (4); la prevalenza varia a seconda dell’età e del contesto assistenziale (5): nei pazienti non istituzionalizzati la sintomatologia dolorosa varia dal 25 al 50%, mentre tra coloro che sono ricoverati in Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA) o in altre strutture è dal 40 all’80% (6,7). In un anziano su quattro il dolore raggiunge livelli d’intensità tali da impedire il normale svolgimento delle attività quotidiane causando depressione, riduzione della socializzazione, disturbi del sonno, difficoltà nel movimento e nella deambulazione ed incremento dei costi di utilizzo dei servizi sanitari (2). Dette condizioni risultano determinate dal frequente under-reporting da parte dell’anziano, falsi miti circa l’inevitabile associazione invecchiamento-dolore, paura degli operatori a gestire i farmaci analgesici ed i loro possibili effetti collaterali.
Da molti anni si studia la relazione tra età e percezione del dolore, ma non si conosce ancora abbastanza circa le modificazioni apportate dall’età sulle componenti neuroanatomiche e neurochimiche e relativa modulazione nel Sistema Nervoso Centrale legata alla percezione del dolore. I risultati degli studi sperimentali che hanno valutato le variazioni età dipendenti della soglia del dolore sono contrastanti(7), rimane comunque infondata, seppure alquanto diffusa, la convinzione che con l’avanzare dell’età risulti un innalzamento della soglia nocicettiva di qualche significato clinico e determinante la riduzione della percezione e dell’intensità del dolore (9).
La valutazione dell’intensità del dolore è di fondamentale importanza, poiché rappresenta la base di qualsiasi intervento analgesico nella pratica clinica: la “Joint Commission on Accreditation of Healthcare Organizations standards manuals” nel 2002 ha dichiarato il dolore “quinto segno vitale” da rilevare per un’adeguata assistenza del paziente.
Una delle ragioni del sottotrattamento del dolore dell’anziano deriva infatti dalla mancanza di rilevazione (2); ciò risulta riconducibile sia alla difficoltà dell’anziano nel riferire il proprio dolore (10), sia alla difficoltà degli operatori nell’utilizzare strumenti di valutazione adeguati alle abilità cognitive del paziente (11). Si evidenzia quindi l’esigenza di individuare strategie in grado di valutare il dolore come fenomeno complesso e multideterminato, dove interagiscono costantemente fattori fisiologici, psicologici e sociali. Comprendere e quantificare le variabili coinvolte sono il primo passo fondamentale per identificare le modalità di intervento più opportune per ciascuna persona (12,13).
L’autovalutazione (self-report), nei pazienti anziani privi di deficit cognitivi, risulta l’indicatore più attendibile poiché il dolore è un’esperienza assolutamente soggettiva ed ogni individuo ne è l’unico interprete. La valutazione iniziale del dolore costituisce pertanto il punto di partenza irrinunciabile per la cura mirata e globale, così come le successive rivalutazioni risultano essenziali al fine di registrarne tempestivamente le eventuali modificazioni di intensità, sede o pattern e permettere l’adeguamento della terapia.
Una sistematica valutazione del dolore (12,13) consente i seguenti risultati:

  • ottenere informazioni circa qualità e caratteristiche del dolore, fattori favorenti e allevianti e manifestazioni non verbali;
  • constatare l’impatto del dolore sulla qualità di vita del paziente;
  • analizzare lo stato emotivo-psicologico e le condizioni socio-ambientali;
  • prevenire e valutare gli effetti collaterali dei farmaci;
  • stabilire un punto di partenza sul quale pianificare i primi interventi;
  • scegliere gli interventi;
  • giudicare la risposta ai farmaci prescritti;
  • misurare l’efficacia nel tempo;
  • verificare l’aderenza alla cura.

Devono comunque essere tenute in considerazione alcune ”trappole” in cui non cadere durante la valutazione:

  • credere che il paziente con dolore debba sempre manifestare dei cambiamenti nei segni vitali o dimostrarlo negli atteggiamenti o comportamenti;
  • supporre che tutti i dolori debbano avere una causa clinica documentata;
  • essere travolti dalle responsabilità cliniche e così diventare insensibili al dolore del paziente e ai suoi bisogni;
  • raccogliere le informazioni in modo non accurato o tralasciando dati critici; (per es., punto di vista del paziente);
  • formulare ipotesi senza verificarne la validità;
  • lasciarsi influenzare da stereotipi o da generalizzazioni sul paziente sulla base
  • della sua cultura, sesso, età, atteggiamenti non conformisti, ecc.;
  • prendere decisioni troppo rapide;
  • mancare di esperienza o avere esperienza insufficiente.

COMUNICAZIONE E RELAZIONE DI CURA

L’utilizzo di un’efficace comunicazione, al’interno di una relazione di cura, è la strategia più importante per la valutazione del dolore nei pazienti anziani in grado di comunicare: il paziente è la principale fonte di informazione.
È molto importante ascoltare la persona quando parla del proprio dolore, porre domande in modo chiaro e aperto e credere a ciò che egli afferma. Ci sono comunque alcuni fattori che possono interferire nella comunicazione:

  • riluttanza della persona a parlare del proprio dolore;
  • mancanza di continuità nella relazione tra paziente e operatori sanitari;
  • uso da parte degli operatori di comportamenti, verbali e non, che frenano la comunicazione;
  • incapacità del paziente ad esprimere il proprio dolore (difficoltà di linguaggio, sordità, ecc.);
  • linguaggio e retaggi culturali diversi.

Una comunicazione poco efficace ha inevitabilmente come conseguenza la raccolta di informazioni incomplete, che potrebbero condurre l’operatore a delle scelte terapeutiche poco efficaci per un controllo adeguato del dolore.


OSSERVAZIONE

Oltre alla comunicazione risulta essenziale, ai fini della valutazione del dolore, l’osservazione dei comportamenti e dei dati oggettivi correlati ad esso; tale attenzione deve essere posta anche quando la persona è in grado di comunicare.
I dati oggettivi osservabili si riferiscono ai seguenti temi.
– Comportamento
: possono trovare espressione con lamenti, pianto, variazioni della mimica facciale, cambiamenti del tono dell’umore, irrequietezza e attività o inattività.
– Corpo
: tramite mobilità o immobilità della parte dolente, spasmi muscolari, tremori, alterazioni sensoriali, aspetto della cute, alterazione dei parametri vitali.
– Pensiero
: attraverso strategie di coping adeguate o inadeguate che possono essere agite dal paziente, (atteggiamenti collaborativi o combattivi).
È importante considerare comunque che non c’è una diretta relazione tra intensità dei comportamenti e severità o qualità del dolore provato: non è detto infatti che i pazienti che manifestano in modo eclatante il proprio dolore ne provino di più rispetto a coloro che si lamentano poco.
È risaputo che i comportamenti osservabili sono più evidenti nel paziente con dolore acuto piuttosto che nel paziente con dolore cronico, così come pure importanti sono le modificazioni fisiologiche: l’aumento della frequenza respiratoria e cardiaca, della pressione arteriosa, il pallore e la sudorazione profusa, sono spesso indicatori di episodi di dolore acuto.
Anche il patrimonio culturale può avere una grande influenza sul comportamento e sull’espressione del dolore, così come il background proprio dell’operatore può influenzare il grado di percezione del dolore dei propri pazienti.

RACCOLTA DEI DATI SOGGETTIVI

Di fronte alla persona con dolore occorre accertarne quindi le seguenti caratteristiche.
– Localizzazione: identificando la sede; se ci sono più zone dolenti è bene numerarle per ordine d’importanza.
– Descrizione del dolore con le parole del paziente: spesso la definizione che egli utilizza è di grande aiuto per identificare una prima diagnosi della genesi del dolore . Espressioni quali: ”mi sembra una lama di coltello”, “è come una scossa elettrica”, “mi sembra la puntura di tanti spilli” possono far ipotizzare un coinvolgimento del sistema nervoso (dolore neuropatico); altrimenti, se il paziente lo definisce come un dolore ben localizzato: “un cane che morde”, “un qualcosa che rode”, “aumenta quando mi muovo”, l’operatore può supporre che il dolore sia nocicettivo somatico (per esempio da metastasi ossee); ancora, se il paziente usa altre similitudini: “mi sembra una morsa”, “va e viene”, “è qualcosa che opprime”, l’operatore può pensare che si tratti di un dolore nocicettivo viscerale: comprendere la patogenesi del dolore è molto importante al fine di instaurare una terapia efficace.
– Intensità: anche se il paziente è l’unico che può dare questa informazione, spesso per lui non è così facile rispondere, perché non è semplice quantificare il dolore; occorre pertanto utilizzare strumenti di misurazione dell’intensità (vedi in seguito).
– Durata: che permette di stabilire se si tratta di un dolore continuo o saltuario.
– Insorgenza: che consente di identificare il momento in cui inizia, per capire se ci sono periodi fissi nella giornata in cui la persona ha più dolore e per comprendere se l’insorgenza è lenta o rapida.
Ed inoltre: fattori che scatenano o alleviano i dolori (spesso il paziente sa che cosa gli dà o no beneficio, per l’infermiere è molto utile esserne a conoscenza per poter fornire aiuto adeguato).
– Variazioni del dolore nel tempo: occorre valutare se il dolore si è modificato nel tempo; ogni variazione deve essere prontamente presa in attenta considerazione.
Inoltre occorre:
chiedere in modo chiaro, qualora il paziente non riferisse dolore e questo risultasse evidente, ed esplorare insieme le eventuali ragioni della negazione dell’esistenza del sintomo (per es., paura delle terapie, timore di perdere il controllo di sé, di smarrire la lucidità oppure ancora che il dolore possa essere segno di malattie che spaventano se non addirittura del pericolo di vita).
– Cercare di stimare il più fedelmente possibile l’intensità del dolore nei pazienti che non vogliono o possono esprimersi attraverso: il racconto di chi assiste, la vocalizzazione (per es., lamento), la mimica facciale, rilevando le variazioni dei parametri fisiologici (pressione, frequenza cardiaca, respiro).
– Valutare la risposta del paziente ai farmaci prescritti ed educare paziente e familiari alla gestione della terapia prescritta (somministrazione ad orario regolare ed ininterrotta dei farmaci analgesici);
valutare, prevenire e trattare gli effetti collaterali degli analgesici (nausea, vomito, stipsi, sonnolenza, ecc.).
– Accertare e valutare fattori affettivi, cognitivi, socioculturali che possono influire sulla percezione del dolore (ansia, depressione, ecc.).
– Valutare quanto il dolore interferisca sulla qualità di vita della persona ossia quali conseguenze ha già avuto o egli pensa avrà sui suoi affetti, sul suo lavoro, sulla vita sociale, sul sonno, sull’alimentazione, sulla sessualità, ecc.
– Valutare come ottenere il migliore sollievo dal dolore con i minori effetti collaterali possibili utilizzando terapie fisiche e comportamentali che possano aumentare il comfort del paziente.
Una buona applicazione di trattamenti non farmacologici integra l’azione di questi ultimi riducendo la necessità di dosaggi più alti e quindi il rischio di effetti collaterali (può essere utile praticare frizioni, massaggi, riflessologia plantare e fornire apparecchi e presidi quali comode e deambulatori oltre che controllare la temperatura dell’ambiente, l’intensità della luce ed altri fattori favorenti il rilassamento).
Uno schema pratico per la valutazione del dolore è quello indicato da Gray: costituito da una sequenza di domande memorizzabili ricordando le onde di un elettrocardiogramma (PQRST):
1 – Mi parli del suo dolore: dove lo sente?
2 – Che cosa lo allevia e che cosa lo peggiora?        P (Palliative / Provocative)
3 – A che cosa assomiglia?                                          Q (Quality)
4 – Si irradia da qualche parte?                                  R  (Radiation)
5 – Quanto è forte?                                                        S (Severity)
6 – È costante o va e viene?                                         T (Time )

Si tratta di domande generiche che evitano al paziente risposte limitate a dei si o dei no e gli consentono invece di descrivere il proprio dolore secondo una traccia ben definita e ripetibile.

STRUMENTI DI VALUTAZIONE

Da sempre chi si occupa di dolore ha cercato il modo per misurarlo in maniera attendibile e valida, molti sono stati i metodi proposti, ma solo alcuni hanno dimostrato oltre che affidabilità ed efficacia anche buona praticità d’uso. Gli strumenti di valutazione del dolore forniscono una misurazione oggettivabile delle sue diverse dimensioni ed aiutano sia il paziente a comunicarlo che gli operatori ad utilizzare un linguaggio condiviso. Usare gli strumenti di valutazione è pertanto fondamentale nel processo di analisi del dolore (12,13,15,16).
Detti strumenti possono essere classificati in base al numero di dimensioni del dolore che vanno ad indagare. La scelta dello strumento dipende da diverse considerazioni.

  • Dimensione del dolore maggiore in quel momento, ad esempio: la dimensione dei comportamenti indicanti dolore assume grande importanza per la persona in stato confusionale, mentre la dimensione sensitiva è predominante nel paziente vigile con dolore post-operatorio. Lo strumento scelto deve essere in grado di analizzare i parametri più importanti della/e dimensione/i d’interesse.
  • Timing della valutazione, come ad esempio: la valutazione iniziale richiede uno strumento più ampio e dettagliato di quello che occorre per una valutazione intermedia.
  • Interventi utilizzati, per esempio: quelli che agiscono sulla sfera fisica e sensitiva del dolore devono essere valutati attraverso parametri quali localizzazione, intensità e qualità, mentre trattamenti rivolti alla sfera cognitiva e affettiva devono essere valutati con strumenti adatti a questa dimensione.
  • Età, abilità cognitive, tipo di dolore, setting clinico. La valutazione di questi fattori in relazione alla tipologia di paziente possono influenzare la scelta di uno strumento di natura soggettiva oppure di osservazione oggettiva con conseguente auto compilazione o necessità di essere compilato da altri.
  • Tempo che richiede la compilazione, quantità delle cose da scrivere, sovrapposizioni con altra documentazione esistente. Uniformare il più possibile il tipo di strumento all’interno dei diversi setting assistenziali sarebbe auspicabile per evitare confusione sia ai pazienti che agli operatori.

Altre considerazioni da tenere presenti sono le seguenti:

  • lo strumento deve essere stato testato come valido e affidabile;
  • appropriato al tipo di paziente;
  • facilmente e velocemente comprensibile da una persona con una scolarità minima;
  • apprezzato dal personale e dai pazienti;
  • di basso carico per il personale (facilmente spiegabile, valutabile e registrabile);
  • non costoso e facilmente reperibile (es. facilmente fotocopiabile per la distribuzione a pazienti e personale);
  • appropriato a pazienti di diverse culture e reperibile all’occorrenza in diverse lingue o facilmente traducibile.

STRUMENTI MONODIMENSIONALI

Gli strumenti di tipo monodimensionale o unidimensionale sono tesi a valutare un unico parametro dell’esperienza dolorosa (intensità). I più comuni strumenti utilizzati nella pratica clinica sono:

  • Scale numeriche (NRS): chiedono al paziente di definire il dolore con un numero da 0 (= dolore assente) a 10 (= dolore fortissimo). Si chiede alla persona: “Se zero significa nessun dolore e 10 indica il peggiore dolore possibile, qual è il dolore che prova ora?”
  • Scale verbali (VRS): chiedono al paziente di scegliere fra una serie di aggettivi, quello che meglio descrive il suo dolore (assente, lievissimo, moderato, di media intensità, forte, atroce), oppure assente-lieve-moderato-forte per anziani che hanno bisogno che venga utilizzato un linguaggio più semplice).
  • Scale analogiche-visive (VAS): offrono un’immagine visiva di riferimento; si chiede al paziente d’indicare l’intensità del dolore mettendo un segno su una linea lunga 10 cm. L’estremità sinistra della linea rappresenta una condizione di “assenza di dolore”, l’estremità di destra rappresenta una condizione di “dolore molto intenso”. La distanza in centimetri dall’estremità di “dolore assente” a dove il paziente ha posto il segno identifica il valore dell’intensità del dolore provato dal paziente.
  • Scale combinate: associano in vario modo gli elementi visivi, numerici o verbali precedentemente descritti.
  • Scala delle espressioni facciali: una serie di disegni (solitamente 8) raffiguranti diverse espressioni facciali rappresentano le variazioni di gravità del dolore. Viene richiesto al paziente di scegliere quale tra le espressioni facciali, riportate su un unico foglio, esprime maggiormente l’intensità del suo dolore (attenzione che la persona anziana non identifichi, però, la faccina anziché con il proprio dolore con la propria sofferenza).

Altri strumenti di tipo monodimensionale sono i diagrammi del corpo dove indicare la sede del dolore.
Nonostante l’apparente semplicità, le scale di valutazione devono essere fornite dando al paziente delle chiare indicazioni per il loro corretto utilizzo: usare esempi semplici, che fanno parte dell’esperienza del paziente: per es., paragonare lo strumento ad un termometro per la temperatura corporea; definire il periodo di tempo considerato nella misurazione del dolore: specificare se desideriamo conoscere il dolore presente in quel preciso momento, nell’ultima settimana, mese, ecc.; precisare a quale tipo di dolore fare riferimento: intensità massima, minima, abituale o attuale.

STRUMENTI MULTIDIMENSIONALI

La brevità di impiego delle scale precedentemente descritte le rende particolarmente adatte alla misurazione del dolore in fase acuta, ma nessuna va intesa come un “termometro” in grado di fornire una quantificazione oggettiva del dolore. Il dolore è un fenomeno multidimensionale e quindi è sconsigliabile utilizzare solo strumenti monodimensionali. Fra gli strumenti multidimensionali (15,17), il più conosciuto è il McGill Pain Questionnaire (MPQ, Melzach, 1975). Esso permette di valutare il dolore come un’esperienza tridimensionale analizzando tre aspetti:

  • sensoriale
  • affettivo
  • cognitivo/valutativo.

Il questionario viene somministrato da un operatore che sottopone un gruppo di aggettivi alla volta all’attenzione del paziente e tra questi egli sceglie quello che trova più vicino alla propria esperienza di dolore. Ad ogni aggettivo di una sottoclasse viene attribuito un punteggio attraverso i quali è possibile ottenere un punteggio totale e un punteggio per ogni aspetto (sensoriale, affettivo e valutativo). In questo modo è possibile valutare quanto ogni aspetto incide sul dolore. Questo questionario non sempre è apprezzato da paziente e operatori perché difficilmente comprensibile da una persona di media scolarità, ma è lo strumento più completo per valutare l’esperienza dolore nelle sue varie dimensioni e il più utilizzato negli studi riguardanti il dolore.
Altro questionario, molto utilizzato, è il Breve Questionario per la Valutazione del Dolore (versione italiana del Brief Pain Inventory-Cleeland 1989 a cura di Caraceni). Oltre a considerare la localizzazione del dolore, al paziente viene chiesto di valutare su scale numeriche da 0 (nessun dolore) a 10 (il dolore più forte che si possa immaginare), l’intensità del dolore peggiore, più lieve, medio nelle ultime 24 ore ed inoltre al momento stesso della compilazione. Sempre attraverso scale numeriche da 0 (non interferisce) a 10 (interferisce completamente) si chiede di assegnare un punteggio all’interferenza del dolore sull’umore, su attività fisiche quali la capacità di camminare, sul lavoro, sulle attività sociali, sulle relazioni con gli altri e sul sonno.
Tra i questionari multidimensionali, ancora da segnalare per il grande utilizzo, c’è il Therapy Impact Questionnaire (TIQ; Tamburini et al., 1992). Il questionario si presta sia all’autocompilazione da parte del paziente, sia alla compilazione assistita nel caso in cui le condizioni del paziente lo richiedano. È composto da un totale di 36 item orientati ad evidenziare le difficoltà o gli stati negativi percepiti dal paziente nell’arco dell’ultima settimana. La valutazione è espressa tramite una scala verbale con quattro possibilità di risposta (“no, un po’, molto, moltissimo”).

LEGGE 38 E CODICE DEONTOLOGICO

La rilevazione e registrazione nella documentazione clinica del sintomo dolore rappresenta un atto indispensabile della cura del paziente: misurare il dolore è il primo passo per poter riconoscere e quindi alleviare la sofferenza. In particolare, in riferimento alla legge n. 38 del 15 marzo 2010 ”Disposizioni per garantire l’accesso alle Cure palliative e alla Terapia del dolore”, all’articolo 7 viene ribadito “l’obbligo di riportare la rilevazione del dolore all’interno della cartella clinica, nelle sezioni medica ed infermieristica”.
Anche il Codice Deontologico dell’Infermiere all’Art. 34 afferma che l’Infermiere si attiva per prevenire e contrastare il dolore adoperandosi affinché l’assistito riceva tutti i trattamenti necessari. È evidente che all’infermiere, anche per il maggior tempo dedicato al paziente, competa la rilevazione del dolore.

LA COMUNICAZIONE

Diventa pertanto indispensabile, per rilevare e valutare il dolore, che l’infermiere utilizzi un’efficace comunicazione. Comunicare vuol dire mettere in comune, rendere partecipi altri di qualcosa che ci appartiene e per poter fare questo occorre muoversi in una cornice di fiducia e sicurezza: ne deriva pertanto che per ottenere e fornire una buona comunicazione occorre aver costruito una corretta ed efficace relazione terapeutica con la persona anziana.
L’incontro tra paziente e curanti è un incontro tra individui ma anche tra culture: quella del primo poggia su suoi sistemi di riferimento ed è intimamente collegata alle emozioni, quella dei secondi si fonda sulle conoscenze scientifiche e può portare ad assumere l’atteggiamento di chi vuole modificare credenze e convinzioni errate degli altri per il loro stesso bene. Da ciò può derivarne non tanto un incontro, bensì uno scontro tra culture che assai allontanerebbe dagli obiettivi di curare e prendersi cura.
Pertanto l’attenzione posta al linguaggio comprensibile e alla chiarezza espositiva è una condizione necessaria ma non sufficiente ad una buona comunicazione. A questo proposito, infatti, si individuano due tipi di difficoltà: la prima determinata dal modo di esprimersi e la seconda dal bisogno di conoscere il sistema culturale di riferimento del paziente.
Ne consegue il passaggio da una comunicazione di tipo esplicativo-affermativo ad una comunicazione di tipo interrogativo-esplorativo che parta dalle parole che il paziente usa senza tradurle troppo rapidamente nel nostro linguaggio e ci consenta di accettare il fatto che anche noi potremmo non avere capito con esattezza ciò che il paziente vuole dirci. Solo lasciando spazio ad altre domande possiamo comprendere che quel che ci viene detto ha per chi lo riferisce un significato e che può essere determinante per noi operatori conoscerlo al fine di instaurare una cura del dolore efficace e adeguata (14).
Dalla letteratura, inoltre, si evidenzia che gli operatori formati a riconoscere e a rilevare l’intensità del dolore sviluppano una maggiore attenzione ed un aumento di competenze, in termini di acquisizione di abilità e capacità legate al riconoscimento e alla misurazione dello stesso, rispetto a coloro che non hanno partecipato ad una formazione specifica (16,18).

CONCLUSIONI

La preparazione degli infermieri ad una comunicazione efficace ed una formazione specifica diventano pertanto fondamentali. Risulta anche necessario che gli infermieri accrescano la propria consapevolezza di poter intervenire, con l’evidenza accertata della presenza e intensità del dolore, nella gestione del dolore in collaborazione con i medici e discutere della necessità verificata di introdurre o modificare una terapia analgesica. La rilevazione e comunicazione del dolore rende di conseguenza non solo possibile bensì auspicabile la collaborazione tra i curanti: infatti soltanto attraverso un intervento integrato si può controllare efficacemente il dolore dei pazienti ancorché anziani.

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