Trattamento farmacologico del dolore neuropatico

Introduzione

LInternational Association for the Study of Pain (IASP) definisce il dolore neuropatico come “il dolore causato da una lesione primaria o da una disfunzione del sistema nervoso”, distinguendolo ulteriormente in “dolore neurogenico” e “dolore centrale” (1).

Si tratta, quindi, di un dolore dovuto a un danno a carico del sistema nervoso centrale e/o periferico, conseguente ad una anomalia anatomica e/o funzionale del meccanismo di segnalazione del dolore, senza l’attivazione dei nocicettori. È spesso di tipo urente, ovvero viene percepito dal paziente come una sensazione di bruciore, formicolio o scossa elettrica. Può essere associato o meno a deficit sensitivi, allodinìa, iperalgesia e segni autonomici.

Il trattamento del dolore neuropatico rimane a tutt’oggi insoddisfacente, nonostante il notevole incremento degli studi negli ultimi anni(2-4).

Nel corso del tempo, sono stati proposti i seguenti trattamenti (5-7):

  • trattamento causale;
  • trattamento sintomatico,
  • trattamento basato sul meccanismo del dolore.

Esempi di trattamento causale sono:

  • la terapia antivirale somministrata nella fase acuta della patologia erpetica;
  •  il vaccino con virus vivo attenuato: accresce l’immunità contro il virus varicella zoster (8), inizialmente (2006/2007) disponibile solo per i pazienti con età superiore a 60 anni, successivamente (2011) disponibile anche per i pazienti dai 50 anni in su;
  • il blocco epidurale effettuato sempre nella fase acuta della patologia erpetica;
  • una appropriata terapia del diabete, al fine di evitare lo sviluppo della patologia dolorosa nei pazienti affetti da questa patologia.

Un trattamento sintomatico è quello caratterizzato dall’uso di farmaci analgesici, che agiscono sul sintomo in maniera aspecifica.

Un trattamento basato sul meccanismo che genera il dolore dovrebbe rappresentare l’obiettivo della ricerca moderna sebbene il raggiungimento di tale obiettivo risulti solo apparentemente semplice.

Lo studio della fisiopatologia del dolore neuropatico, infatti, sebbene in stato avanzato, ha solo permesso di formulare varie ipotesi in merito al meccanismo di base che sostiene questo tipo di dolore, ma non è ancora disponibile una spiegazione univoca e definitiva che renda ragione delle sue manifestazioni. Di conseguenza non è stato ancora individuato un target specifico che, aggredito, possa risolverlo totalmente.

Sulla base dei numerosi studi pubblicati, è possibile dividere le patologie con espressione di dolore neuropatico nei seguenti grandi capitoli:

  • polineuropatie e fondamentalmente la polineuropatia diabetica (DPN);
  • nevralgia post-erpetica (PHN);
  • nevralgia trigeminale (TN);
  • dolore centrale (CP);
  • altre condizioni di dolore neuropatico.

Le classi di farmaci più frequentemente utilizzate per il trattamento del dolore neuropatico sono le seguenti:

  • antidepressivi;
  • antiepilettici;
  • antiaritmici;
  • anestetici locali;
  • analgesici antinfiammatori;
  • analgesici oppiacei;
  • altri.

Trattamenti specifici

Nevralgia Posterpetica (PHN): si tratta di una neuropatia da deafferentazione che rappresenta una temibile complicanza dell’infezione da Herpes Zoster e che può residuare per mesi, o talvolta per anni, dopo la risoluzione delle manifestazioni cutanee. Si manifesta con maggiore frequenza nei pazienti senescenti e il dolore può essere di due tipi:

  1. parossistico e lancinante;
  2. sordo, continuo e urente, variabile nell’intensità a seconda dei casi.

 La strategia terapeutica proposta dalla Società Europea dei Neurologi prevede:

  1. Trattamento di prima linea: gabapentin, pregabalin, lidocaina topica, antidepressivi triciclici.
  2. Trattamento di seconda e terza linea: capsaicina, oppiacei forti, tramadolo, valproato.

Il gabapentin (GBP), nello specifico nato come antiepilettico, ha ottenuto nel febbraio 2001 l’indicazione registrata per il trattamento del dolore neuropatico negli adulti (9). Studi randomizzati e controllati sono stati condotti con lo scopo di testare il GBP versus il placebo nella PHN attestandone l’efficacia quando utilizzato per 8 settimane a dosaggi tra i 1800 e i 3600 mg/die (10-16).

Proprietà farmacologiche simili, ma con un profilo di maggiore tollerabilità e minori interazioni, ha il pregabalin, registrato per il dolore neuropatico periferico e centrale nell’adulto (17,18).

Diversi studi ne accreditano l’efficacia con un uso continuativo per 8 settimane con dosaggi compresi tra i 150 e i 600 mg/die(19-22). Molto interessante risulta anche l’uso combinato dei due principi attivi(23,24).

Gli effetti collaterali di maggior riscontro conseguenti la somministrazione di pregabalin sono le vertigini e la sonnolenza, la comparsa dei quali, però, non è determinante ai fini della sospensione della terapia. Il 19% circa dei pazienti manifesta, invece, edema periferico, sintomo strettamente dose-dipendente.

Per quanto attiene la lidocaina topica (cerotto), vi sono dubbi sulla sua reale utilità quale trattamento di prima linea sebbene alcune evidenze scientifiche mostrino buoni risultati soprattutto nel trattamento dell’allodinìa, ovvero su aree non troppo vaste di dolore, specie nei pazienti più giovani e con dolore di recente comparsa (25,26).  La formulazione endovenosa di lidocaina (27,28) ha dimostrato effetti degni di nota quando somministrata in infusione continua al dosaggio di 2 mg/kg in 5 minuti, sotto continuo monitoraggio elettrocardiografico. I risultanti incoraggianti derivati dall’impiego di lidocaina somministrata in varie formulazioni (gel, patch ed  endovenosa), fanno ben sperare sulla validità dell’uso della stessa in questa tipologia di pazienti (29, 30).

Lo studio della validità degli antidepressivi nella PHN è oggetto di discussione da più di un ventennio. Il loro impiego non è più finalizzato al solo scopo di ottenere un effetto antidepressivo (31,32) ma, viceversa, è stata dimostrata la validità degli stessi nella riduzione del sintomo dolore. La loro efficacia è strettamente legata, però, ad una evidente “variabilità farmacocinetica interindividuale e ad uno stretto indice terapeutico” (33).

L’effetto antidolorifico ha bisogno di una latenza di circa 3 settimane prima di poter estrinsecarsi al massimo. Come ogni trattamento terapeutico, l’impiego degli antidepressivi triciclici (TCAs) non è scevro da effetti collaterali, e quelli di più comune riscontro sono i sintomi anticolinergici (xerostomia, esacerbazione del glaucoma, ritenzione urinaria e confusione mentale), legati agli effetti centrali di questa classe di farmaci.

Nevralgia Trigeminale (NT):  si manifesta come un dolore parossistico, improvviso, di breve durata (da pochi secondi a 1-2 minuti), a “colpo di pugnale” o, in alcuni pazienti, “a scarica elettrica”, quasi sempre piuttosto severo. La distribuzione del dolore è tipicamente monolaterale ed è riferita alla zona di innervazione delle tre branche del trigemino, interessando con maggior frequenza il territorio della II e III branca. L’attacco doloroso può essere scatenato anche dalle più semplici manovre su zone definite trigger (34,35), così che anche semplici attività come lavarsi il viso, radersi o masticare possono essere responsabili dell’insorgenza dell’attacco doloroso. Si riconoscono una forma classica-idiopatica e una forma sintomatica, che viene definita, più correttamente neuropatia trigeminale. Il trattamento più accreditato è il seguente:

  1. trattamento di prima linea: oxcarbazepina, carbamazepina;
  2. trattamento di seconda/terza linea: chirurgia.

Proprio per l’entità del dolore evocato e l’invalidità che esso provoca, la NT da sempre è stata oggetto di grande interesse medico-scientifico (36,37), spingendo la ricerca a proporre tecniche sempre più innovative per la diagnosi ed il trattamento di questa patologia. La risonanza magnetica è la tecnica di diagnostica per immagini di miglior ausilio per l’utilizzo del Gamma knife radiosurgery (GKRS), selettivamente  indicato come tecnica di neuroradiochirurgia interventistica in tutte le forme di presentazione della NT non rispondenti alle terapie usuali (38,39). Dal punto di vista della  terapia farmacologica la carbamazepina (CBZ)  (40) ha una efficacia dimostrata ed è considerata il trattamento di prima linea a un dosaggio compreso tra i 200 e i 1200 mg/die. Per ridurre l’incidenza degli effetti indesiderati, come ad esempio le vertigini, si consiglia di iniziare il trattamento con basse dosi.

Con l’ausilio di studi controllati, in doppio cieco (41), è stata proposta la somministrazione dell’oxcarbazepina (OXC) nel trattamento del dolore da nevralgia trigeminale, ad una dose compresa tra i 600 e i 1800 mg/die, come valida alternativa alla CBZ per la terapia di prima linea. Alcuni studi, tra l’altro, hanno dimostrato anche una minore alterazione degli enzimi epatici (42) ed una minore ipersensibilità(43) con l’uso dell’OXC, la cui indicazione per il trattamento di questa patologia non risulta, però, registrata. La concentrazione plasmatica di questi farmaci deve essere peraltro attentamente monitorata (44,45), somministrando dosi scalari man mano che si hanno risposte al trattamento, e valutando i farmaci contemporaneamente assunti dal paziente per evitare possibili interazioni farmacologiche. Studi clinici hanno dimostrato come, ad esempio, la contemporanea somministrazione di CBZ e fenitoina, fenobarbitale, acido valproico, primidone e warfarin potenzi gli effetti di questi ultimi farmaci. Inoltre la fenitoina, il fenobarbitale e il primidone potrebbero incrementere il metabolismo epatico della CBZ che, a sua volta, potrebbe essere inibito dall’uso combinato con triacetiloleandomicina, eritromicina, propossifene, isoniazide e cimetidina (46).

Tra gli altri farmaci proposti per il trattamento della NT vanno anche citati il baclofen, il GBP, la fenitoina e la lamotrigina (LTG), ma i risultati non sembrano in realtà univoci. Una migliore risposta terapeutica si avrebbe, invece, con la somministrazione di pregabalin (18, 47).

In pazienti selezionati e non-responder al trattamento medico, deve essere preso in considerazione il trattamento chirurgico. Nel corso degli anni sono state affinate innumerevoli tecniche chirurgiche con differenti vie di accesso(48-52), sollevando spesso non pochi dubbi circa la validità di alcune delle stesse (53). Vi sono comunque evidenze che attestano come l’intervento chirurgico possa alleviare il dolore, restituendo una adeguata qualità di vita. Ovviamente tali procedure non sono esenti da rischi, per cui i pazienti devono essere accuratamente selezionati ed informati (54,55).

Dolore Polineuropatico (PPN): da un punto di vista fisiopatogenetico la distribuzione del dolore neuropatico periferico può essere limitata al territorio di un singola radice nervosa (mononeuropatia), a più radici nervose (mononeuropatia multipla), oppure interessare i territori bilateralmente e simmetricamente (polineuropatia).

La neuropatia diabetica è la più comune tra le polineuropatie ed è perciò frequentemente considerata la forma di riferimento dalla maggior parte degli studiosi. Nell’ambito di questa patologia si possono distinguere due gruppi principali: le polineuropatie simmetrico-distali, a genesi dismetabolica, e le forme mono-/multi-focali, a genesi ischemica.

I farmaci utilizzati e testati nella polineuropatia diabetica sono riportati nella Tabella 1, con il relativo range di NNT (Number Needed to Treat ) nei vari studi (2).

Antidepressivi Triciclici – Inibitori bilanciati reuptake monoamine AmitriptilinaClomipramina NNT2,1 (CI 1,8-2,6)
Antidepressivi Triciclici – Inibitori prevalenti reuptake Noradrenalina DesipraminaNortriptilina NNT2,5 (CI 1,9-3,6)
SNRIInibitori reuptake Serotonina Noradrenalina VenlafaxinaDuloxetina NNT: 4,6(CI 2,9-10,6)NNT: 5,2(CI 3,7-8,5)
SSRIInibitori selettivi reuptake Serotonina FluoxetinaParoxetina Efficacia insufficiente
Tabella 1 – Farmaci utilizzati nella polineuropatia diabetica e loro efficacia.

Gli antidepressivi triciclici sono i farmaci utilizzati da più tempo ed hanno dimostrato di possedere una efficacia sempre più evidente (56,57). Il loro impiego non è dovuto soltanto agli effetti antidepressivi che gli stessi garantiscono (58,59), è stata infatti documentata la validità dell’amitriptilina a dosi di circa 50 mg, sia in pazienti depressi che non depressi. Riguardo alla scelta tra i vari farmaci disponibili in commercio, sembra che l’amitriptilina, la clomipramina e la doxepina causino maggiori effetti collaterali rispetto alla imipramina, desipramina e nortriptilina (60). Sono stati effettuati anche diversi studi per testare l’efficacia di oppiacei, antiepilettici e capsaicina su questo tipo di dolore.

Tra gli oppiacei, buoni risultati si sono ottenuti con l’impiego del tramadolo e dell’ossicodone, che, però, provocano gli effetti collaterali tipici di questa classe di farmaci (61,62). Diversi studi mostrano l’efficacia  del gabapentin ad una dose compresa tra 900 e 1800 mg/die, mentre dosi superiori ai 3600 mg/die possono essere somministrate solo dopo un’attenta valutazione del paziente e degli effetti collaterali potenzialmente inducibili(63-65). I vari studi effettuati dimostrano non solo la validità del gabapentin rispetto ad altri farmaci nel ridurre l’intensità del dolore (66),ma anche nel migliorare le modificazioni quotidiane del dolore, che tende, nella maggior parte dei pazienti, ad esacerbarsi la notte, mentre spesso presenta un andamento remissivo-recidivante durante il giorno (67,68): l’effetto positivo prodotto da questo farmaco sul sonno notturno restituisce al paziente una migliore qualità di vita (69).

Più recentemente il pregabalin, ad una dose di 150-600 mg/die, ha assunto un ruolo di rilievo nel trattamento della neuropatia diabetica (70-73), entrando di diritto nella strategia terapeutica di prima linea. L’uso continuativo per 12 settimane di pregabalin al dosaggio di 150 mg/die o di gabapentin a dosaggi tra 900 mg e i 1600 mg/die, in pazienti con DPN o con PHN, ha dimostrato un vantaggio in termini di costi-benefici a favore del pregabalin (74).

Pertanto, sulla base delle evidenze scientifiche, i trattamenti consigliati per le polineuropatie sono i seguenti:

  1. Prima linea: gabapentin, pregabalin, antidepressivi triciclici
  2. Seconda linea: lamotrigina, oppiacei, inibitori del reuptake di serotonina-noradrenalina (SNRIs), tramadolo.

Un discorso a parte merita la polineuropatia associata all’HIV, che si è dimostrata refrattaria ai trattamenti correntemente usati per le polineuropatie a diversa etiologia. Questa forma sembrerebbe, invece, sensibile al trattamento con lamotrigina (400 mg/die) (75-77).

Dolore centrale (DC): si tratta di un dolore legato ad una lesione a carico del sistema nervoso centrale. Nella maggior parte dei casi è un dolore successivo ad ictus, ma molte malattie neurologiche possono esserne la causa, si pensi ad esempio alla sclerosi multipla.

Presenta connotazioni diverse dal dolore neuropatico periferico, non ultimo il frequente riferimento viscerale, oltre che l’interessamento di aree corporee più ampie.

Malgrado l’elevata frequenza di questo disturbo, la sua gravità ed il grande impatto sulla qualità della vita dei pazienti affetti, le indagini scientifiche sul suo trattamento sono sorprendentemente poche.

Ancora una volta gli antidepressivi, gli antiepilettici e gli oppiacei sono stati testati alla ricerca di una terapia efficace.

Tra gli antidepressivi l’amitriptilina ha dato buoni risultati, anche rispetto alla carbamazepina, mentre tra gli antiepilettici, la lamotrigina e il pregabalin hanno evidenziato una efficacia relativa.

Gli studi sugli oppiacei, anche se abbastanza numerosi, non sembrano fornire ancora risposte univoche.

In una review del 2006, Frese er al, in accordo con la Società Europea dei Neurologi, raccomandano l’uso di lamotrigina, gabapentin, pregabalin e antidepressivi triciclici (78).

Gli oppiacei, invece, sono considerati farmaci di seconda scelta, anche a causa degli effetti collaterali (2).

 

Altre patologie con espressione di dolore neuropatico: oltre alle precedenti, vi sono altre patologie che si esprimono con un dolore neuropatico puro o, talvolta, associato a dolore nocicettivo. Tra esse la patologia neoplastica è quella che ha maggiore incidenza nella popolazione. Un cancro infiltrante può interessare i tronchi nervosi, determinando un danno importante, così come svilupparsi a livello del SNC, determinando un dolore centrale.

Gli antiepilettici, e tra loro pregabalin e gabapentin, sono da considerarsi di prima scelta in queste situazioni, ed in Italia è stata emanata un’indicazione ministeriale specifica per la loro prescrizione (79).

Anche l’associazione amitriptilina-oppiacei è molto utilizzata in questo tipo di pazienti. In particolare, tra gli oppiacei, il metadone, la buprenorfina e il tramadolo sembrerebbero quelli con maggiore evidenza di efficacia nel dolore neuropatico. Nel caso del metadone, però, tale evidenza è stata recentemente messa in discussione (80).

Conclusioni

A tutt’oggi la valutazione più esaustiva effettuata sulla terapia del dolore neuropatico sembra  quella curata dalla Società Europea di Neurologia (EFNS – European Federation of Neurological Societies) (81-83).

Le indicazioni espresse sono frutto di uno studio accurato riguardante sia l’efficacia dei vari farmaci che la tollerabilità degli stessi.

L’unica critica che, probabilmente, si può muovere alle conclusioni raggiunte da tale studio, è l’eccessivo peso dato agli effetti collaterali degli oppiacei.

Si ritiene che una valutazione più obiettiva, in proposito, potrebbe essere effettuata da una Task Force interdisciplinare, che comprenda anche specialisti di altre branche e, soprattutto, terapisti del dolore che, con ogni probabilità, hanno una maggiore esperienza nell’uso di questi farmaci.

Altra carenza è la mancata considerazione di approcci antalgici invasivi che, in casi selezionati, possono essere particolarmente efficaci.

È, comunque, evidente come la mancanza di dati certi sulla fisiopatologia delle varie espressioni di dolore neuropatico giustifichi, ad oggi, la mancanza di un farmaco che, da solo, sia capace di eliminare o, quanto meno, ridurre in maniera importante la sintomatologia dolorosa.

In questa situazione, l’approccio multimodale e la personalizzazione della terapia rimangono indiscutibilmente il sistema migliore per dare aiuto ai pazienti.

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