L’infermiere e la palliazione

Il concetto di salute e la palliazione

Il concetto di salute si è notevolmente modificato nel corso del tempo. Nell’antichità la salute era considerata come un dono degli dei e specularmente la malattia veniva vissuta come una punizione divina. Ippocrate definiva la malattia come “squilibrio degli umori” e questa concezione dominò fino alla scoperta degli antibiotici. La morte veniva considerata un evento naturale, il paziente giunto alla fine della vita veniva confortato dai tutti i suoi cari raccolti attorno al letto di morte.

L’avanzare rapidissimo delle scoperte scientifiche fece nascere il “sogno della salute”, attribuendo alla medicina infinite possibilità di sviluppo, che consentono il completo dominio sulla vita, sulla morte e sulle infermità.

Il ricorso a tecnologie sempre più complesse ha portato ad una tecnicizzazione della medicina e ha consentito di raggiungere risultati inizialmente impensabili, ma allo stesso tempo ha evidenziato tutti i suoi limiti.

In quest’ottica non c’è spazio per la palliazione: si “eccede “nelle cure fino all’accanimento terapeutico; il paziente terminale viene visto come simbolo dell’insuccesso e dell’impotenza della medicina, e ciò porta allo “scandalo” della morte.

Anche la società si medicalizza, provocando l’ingresso nella sfera medica di fenomeni sociali (tossicodipendenza, suicidio, violenza, pedofilia).

Tutto ciò impone l’ampliamento del concetto di salute, che nel 1946 veniva definita dall’OMS come uno “stato di benessere fisico, psicologico e sociale”. Questa visione, però, implica il concetto di salute come illusione di uno stato stabile e permanente, nella realtà irrealizzabile. Oggi ci si scontra con l’insostenibilità economica del mito “ salute per tutti” e con i limiti della medicina che in gran parte non guarisce completamente, ma consente all’individuo di convivere con la propria malattia, controllando i sintomi. La critica a questa definizione dell’OMS ha portato ad una definizione di salute più realistica e dinamica, secondo la quale nel corso della vita ci spostiamo ciclicamente in un continuum tra salute e malattia, con oscillazioni più o meno ampie e con tempi diversi.

Aaron Antonovsky (1), studioso israeliano noto per le sue ricerche sui sopravvissuti ai campi di concentramento, ha introdotto il modello di “salutogenesi”. Questo tipo di approccio non si basa più su ciò che fa ammalare, ma su ciò che consente alle persone di mantenere o recuperare la salute, nonostante i limiti biologici ed i fattori di rischio ambientali.

La persona sana e quella malata sono quindi molto simili: entrambe hanno a che fare con limiti e opportunità e all’interno di essi sono chiamati a vivere.

Secondo Ewles e Simnett (1985)(2), invece, possiamo distinguere 6 dimensioni della salute:

1)    la dimensione fisica – è l’aspetto più evidente e fa riferimento all’assenza di malattie o invalidità fisiche,

2)    la dimensione psichica – è la salute della mente, la capacità di pensare con lucidità e coerenza,

3)    la dimensione emotiva – rappresenta la possibilità di poter esprimerre le proprie emozioni per poterle affrontare, soprattutto nelle situazioni di paura, ansia e depressione,

4)    la dimensione relazionale – per l’uomo la società rappresenta la possibilità di sopravvivere, per cui diventa fondamentale la capacità di potersi relazionare con gli altri,

5)    la dimensione spirituale – per alcuni è il rapporto con l’Essere Supremo, per altri è il sistema di credenze e valori che consente di star bene con sé stessi,

6)    la dimensione sociale – la salute è strettamente correlata all’ambiente politico e sociale in cui vive l’individuo. Se una società non riesce a soddisfare i bisogni fondamentali è improbabile che i singoli individui stiano bene.

Un approccio moderno e originale è  quello di Sen (1985) (3), per il quale la salute è “ well- being”, il “ sentirsi bene”, la capacità di “funzionare”.

È in quest’ottica che trovano spazio le moderne cure palliative.

Le cure palliative

Le cure palliative derivano il loro nome da “pallium”, termine latino che indicava il mantello utilizzato dai romani per difendersi dal freddo e dalle intemperie. Associato alle cure il significato di “palliativo” è quindi quello di “prendersi cura” del malato terminale, ovvero di quel paziente che non ha prospettiva di guarigione.

L’indiscussa fondatrice del movimento per le cure palliative è Dame Cicely Saunders (4). Negli anni ‘50 questa donna incominciò ad occuparsi dei pazienti terminali come infermiera. In seguito a problemi di salute dovette abbandonare la pratica infermieristica e frequentò la scuola per assistente sociale. Il suo interesse, però, rimase sempre quello per i pazienti più sofferenti e vicini alla fine della vita. A questo scopo decise di ampliare ulteriormente le proprie competenze e si laureò in medicina. Con acume suggerì un diverso controllo del dolore attraverso la somministrazione di oppioidi ad orari fissi e non più al bisogno, come era di consuetudine; incentrò l’assistenza su quello che definì “il dolore globale”, ponendo l’accento sulla necessità di considerare la persona in tutta la sua completezza fisica, psichica e sociale.

Nel 1967 Cicely Saunders fondò il St. Thomas, il primo Hospice.

Occorrerà attendere gli anni Settanta per veder nascere in Italia il primo movimento per le cure palliative (5). I pionieri furono Vittorio Ventafridda e Virgilio Floriani, che organizzarono il primo nucleo denominato “terapia del dolore”, presso l’Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori di Milano (6).

L’infermiere e le cure palliative

La complessità delle cure di fine vita richiede l’integrazione di diverse figure professionali che collaborano insieme per il miglioramento della qualità di vita del paziente.

All’interno di questa équipe l’infermiere occupa un ruolo predominante, in quanto è il professionista responsabile dell’assistenza generale alla persona, che ne identifica i bisogni e progetta il piano assistenziale individualizzato.

L’infermiere che si occupa di palliazione si trova ad operare all’interno di un team multidisciplinare, che ha lo scopo di (7):

  • migliorare la qualità della vita residua,
  • curare insieme al paziente ed alla famiglia,
  • controllare il dolore,
  • controllare i sintomi,
  • curare il paziente prendendo in considerazione gli aspetti fisici, emozionali, relazionali, psicologici,
  • accompagnare il paziente e la famiglia al termine della vita,
  • supportare il paziente e la famiglia nell’elaborazione del lutto anticipato e del lutto.

Per assicurare un’adeguata presa in carico del paziente per la risoluzione dei bisogni assistenziali è richiesta all’infermiere un’ampia gamma di competenze (8):

1) saper gestire i percorsi assistenziali

–     effettuare la presa in carico del paziente,

–          saper applicare le prescrizioni diagnostico- terapeutiche,

–          pianificare piani assistenziali individualizzati,

–          gestire la continuità assistenziale,

–          gestire i sistemi intracorporei impiantabili per la somministrazione della terapia,

–          rilevare tempestivamente segni e sintomi di effetti collaterali immediati e tardivi dei trattamenti terapeutici, farmacologici, chemioterapici e radianti,

–          pianificare interventi per il trattamento degli effetti collaterali dei trattamenti chemioterapici, radianti, farmacologici,

–          valutare i risultati raggiunti nel percorso assistenziale,

–          gestire i sistemi informativi sui percorsi assistenziali,

–          pianificare interventi assistenziali al personale di supporto,

–          rilevare il livello di qualità della vita della persona a fine vita attraverso l’utilizzo di metodi e strumenti specifici,

–          valutare il dolore attraverso l’utilizzo di scale specifiche validate,

–          gestire il dolore attraverso l’utilizzo delle tecniche complementari non farmacologiche.

 

2) saper gestire il rischio clinico

–          gestire gli strumenti di analisi reattiva,

–          gestire gli strumenti di analisi proattiva,

–          applicare le norme di sicurezza durante la manipolazione dei farmaci chemioterapici,

–          garantire alla persona la sicurezza durante la somministrazione dei farmaci chemioterapici,

–          attuare strumenti di isolamento protettivo per prevenire le complicanze del paziente immunodepresso,

–          monitorare il funzionamento delle tecnologie utilizzate.

3) effettuare interventi di educazione sanitaria

–          promuovere il ruolo del caregiver e del nucleo familiare attraverso l’individuazione delle dinamiche relazionali,

–          educare la persona e i familiari alla somministrazione di farmaci chemioterapici e antalgici,

–          educare le persona ad adottare uno stile di vita finalizzato alla prevenzione degli effetti collaterali e complicanze della chemioterapia, radioterapia e terapia antalgica,

–          educare la persona e/o il caregiver ad adottare comportamenti atti a prevenire malfunzionamenti del sistema intracorporeo di somministrazione della terapia antalgica e della chemioterapia,

–          educare la persona immunodepressa ad adottare comportamenti atti a prevenire complicanze infettive

4) gestire il processo comunicativo

–          promuovere nella persona la conoscenza del percorso clinico assistenziale nella fase del primo accesso,

–          promuovere la consapevolezza della malattia,

–          saper sostenere la persona assistita e la famiglia,

–          sostenere la persona nella scelta consapevole del trattamento terapeutico,

–          sostenere la persona assistita e la famiglia nel processo di terminalità e nel lutto.

5) ricerca

–          identificare specifici problemi e aree di ricerca,

–          verificare l’applicazione dei risultati delle ricerche per migliorare la qualità dell’assistenza erogata,

6) consulenza

–          fornire supporto tecnico in qualità di esperto,

–          offrire consulenza su processi ad elevata complessità nei diversi contesti clinici.

Conclusioni

Il modificarsi del concetto di salute nel tempo ha portato gli operatori sanitari a confrontarsi con nuovi modi di approcciarsi alla cura della persona. Nel panorama sanitario attuale la palliazione sta acquisendo sempre maggiore importanza e dignità: dal concetto del “non c’è più nulla da fare” all’affrontare la malattia inguaribile come problema sanitario complesso che richiede integrazione multi professionale e lo sviluppo di specifiche competenze.

Il ruolo dell’infermiere, in quanto responsabile dell’assistenza erogata alla persona, è di fondamentale importanza all’interno dell’equipe multidisciplinare, in quanto professionista deputato alla presa in carico globale della persona e della famiglia.

Bibliografia

1. Lindstrom B, Eriksson M. Professor Aaron Antonovsky (1923–1994): the father of the salutogenesis. J Epidemiol Community Health 2005; 59: 511.

2. Ewles L & Simnett E. Educazione alla salute, una metodologia operativa. Edizioni Sorbona Milano, 1989.

3. Sen AK. Well-Being, Agency and Freedom: The Dewey Lectures 1984, The Journal of Philosophy 1985; 82, 169-221.

4. Du Boulay S. L’assistenza ai malati “incurabili”.Cicely Saunders. 2004. ed. Jaca Book

5. Spinsanti S. Una medicina per chi muore. Il cammino delle cure palliative in Italia. Città Nuova. Roma. 1988.

6. Ventafridda V, De Conno F, Ripamonti C, Gamba A, Tamburini M. Quality-of-life assessment during a palliative care programme. Ann Oncol. 1990; 1(6): 415-20.

7. http://www.sicp.it  RNAO (Registered nurse’s association of ontario) Clinical best practice guidelines – Cure di Fine Vita durante gli ultimi giorni e le ultime ore. Consultato il 23/01/2013.

8. Massai D, Amerini A, Borgellini S,  Bugno S. Perché l’analisi delle competenze. La valutazione delle competenze . L’infermiere 4/2007.